E’ stato il Teatro Elicantropo di Napoli ad ospitare l’originale messinscena Nevrotika vol. 1-2-3, spettacolo scritto e diretto da Fabiana Fazio, che ne è interprete con Giulia Musciacco e Valeria Frallicciardi.
Presentato da Progetto Nevrotika, l’allestimento propone in scena tre donne, tre nevrosi differenti, come già anticipato dal titolo, vestite di nero. Non hanno nome, non interpretano un personaggio ma, verosimilmente ognuno di noi, membri di una società malata, con le nostre “coscienze addormentate” e le “personalità contaminate”.
Fobie, ansie, manie sono irrealtà create dalla mente umana, oscure presenze nella coscienza di ogni individuo, che, osservate dall’esterno, possono facilmente caricarsi di toni beffardi. Intanto, le tre protagoniste ne sono vittime, e girano su loro stesse, mentre una voce registrata elenca possibili “imprevisti”, verificabili quando si è fuori casa.
Liberamente ispirato agli scritti dello psicologo e filosofo Paul Watzlawick (Istruzioni per rendersi infelici) e a quelli dello psichiatra, psicologo e antropologo cileno Claudio Naranjo (Carattere e Nevrosi), lo spettacolo è frutto di una riflessione sulle conseguenze che una società “sempre più malata” come la nostra può avere sui singoli individui.
E se è vero che le nevrosi sono principalmente un “disturbo dell’adattamento”, Nevrotika si propone di attraversare, con uno sguardo ironico, tagliente ed esorcizzante, i vari aspetti di questo “moderno disagio”, con un lavoro che prevede varie successive tappe (la divisione in volumi), al fine di creare un vero e proprio “catalogo completo” dei disadattati.
Nevrotika vol. 1-2-3 è, dunque, un lavoro in divenire, che prova a enfatizzare e mettere alla berlina i meccanismi mentali che ci allontanano inconsapevolmente dalla felicità.
Il proprio sé scivola sempre più nell’oblio nella società odierna, in cui è sempre più pressante l’esigenza di amalgamarsi all’identità di massa. I nostri impulsi, i nostri desideri, la nostra felicità sono, così, sacrificati.
Dunque, siamo noi stessi a renderci infelici (come afferma Watzlawick nel suo Istruzioni per rendersi infelici), e allora perchè non provare a farlo come si deve, andandone persino fieri? Perchè cercare, disperatamente e inutilmente, di essere felici quando si potrebbe diventare dei veri artisti nell’arte della sofferenza?
Infine, quale soluzione alle nevrosi rappresentate propone lo spettacolo?
Nessuna, anzi dice basta al raggiungimento di quella chimera denominata felicità, che a nulla serve mentre, paradossalmente, è il rendersi infelice la vera arte, fino a proporre il ricorso ai soprannominati “esercizi all’infelicità”.