Le proteine codificate dai geni BRCA1 e BRCA2 hanno un ruolo importante e riconosciuto: mantengono la stabilità del genoma e in particolare contribuiscono a riparare il DNA quando è danneggiato. In caso di mutazioni in BRCA1 e BRCA2, l’organismo è esposto all’accumulo di difetti non riparati nel DNA e alla potenziale conseguente formazione di neoplasie tumorali, tra cui i principali sono tumori femminili di mammella e ovaio.
Neoplasie tumorali: il ruolo delle proteine
Nonostante il ruolo delle proteine BRCA1 e BRCA2 nella riparazione del DNA sia da tempo noto, il meccanismo del loro intervento era ancora oscuro. Una scoperta fatta dal gruppo di Fabrizio d’Adda di Fagagna dell’Ifom di Milano e dell’Istituto di genetica molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche di Pavia (Cnr-Igm), nel solco delle ricerche sulla caratterizzazione del ruolo dell’RNA nella risposta cellulare al danno al DNA, ha svelato un nuovo aspetto di tale modalità di intervento e ha individuato una potenziale prospettiva terapeutica.
Per capire come si sia arrivati a questa scoperta bisogna partire da due ricerche precedenti in cui il laboratorio di d’Adda di Fagagna ha messo in evidenza per la prima volta che l’RNA ha un ruolo fondamentale nella protezione del DNA: dove il DNA è danneggiato sono prodotte delle molecole di RNA che contribuiscono al riconoscimento e alla riparazione della lesione stessa (i risultati sono stati pubblicati rispettivamente su Nature nel 2012 e su Nature Cell Biology nel 2017).
Come naturale evoluzione degli studi precedenti, il nuovo studio dimostra che l’RNA sintetizzato nel sito del danno si appaia al DNA da cui è trascritto, formando una particolare struttura ibrida, detta ibrido DNA:RNA, dove la doppia elica è costituita da un filamento di DNA e da uno di RNA. Sono proprio questi ibridi a favorire il reclutamento inizialmente di BRCA1 e successivamente di BRCA2.
Neoplasie tumorali: gli ibridi
“Tramite potenti microscopi in super-risoluzione – spiega Giuseppina D’Alessandro, prima autrice dello studio – abbiamo potuto osservare come BRCA1 dimostri una capacità inaspettata di associarsi a queste strutture ibride. Inoltre mescolando in esperimenti in vitro la proteina BRCA1 con questi ibridi abbiamo notato un’attrazione immediata. Abbiamo anche osservato che in un secondo momento tali ibridi vengono smantellati grazie alla proteina BRCA2, che porta al sito del danno la proteina RNase H2, l’enzima cellulare in grado di degradare questi ibridi, favorendo la riparazione del filamento di DNA danneggiato”.
La formazione di ibridi DNA:RNA appare dunque essere molto importante per l’arruolamento di BRCA1 e BRCA2. “Questa osservazione – sottolinea Fabrizio d’Adda di Fagagna – mostra, congiuntamente ad altri studi recenti, che gli ibridi, fino ad ora sempre considerati un ‘incidente’ per la cellula, rivestono al contrario un ruolo funzionale nella risposta al danno”. Ricostruendo la strategia adoperata dalla cellula per attrarre i due fattori riparatori BRCA 1 e BRCA2, i ricercatori di IFOM hanno potuto capire più a fondo anche gli effetti delle mutazioni a carico di questi due geni e, di conseguenza, concentrarsi sull’individuazione di future strategie terapeutiche.
“Nei tumori in cui BRCA1 e BRCA2 risultanomutati – illustra d’Adda di Fagagna – questo processo può essere alterato e, di conseguenza, avere delle responsabilità nell’instabilità genetica tipica di queste malattie. Il prossimo passo sarà pertanto di individuare un approccio farmacologico mirato a impedire l’attività degli ibridi nelle cellule tumorali. Per questo intendiamo sfruttare il grande potenziale delle molecole antisenso contro le molecole di RNA, su cui già da tempo stiamo lavorando nei nostri laboratori.” In questo modo, nel caso di neoplasie, si inibirebbero le funzioni degli ibridi e di conseguenza la riparazione del DNA danneggiato e la proliferazione e sopravvivenza delle cellule tumorali.
I risultati sono pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Communications e sono stati ottenuti da Ifom in collaborazione con la New York University, l’Istituto per la Ricerca Biomedica di Bellinzona in Svizzera e con la Cambridge University. La ricerca è stata sostenuta, tra gli altri, da finanziamenti dell’AIRC, FIRC-AIRC e della European Research Commission.