Neobonus di 80 euro mensili per tutte le mamme di bambini nati o adottati dal 1 gennaio 2015 al 31 dicembre 2017 e fino al compimento di 3 anni di età. I requisiti? Un reddito familiare non superiore a 90 mila euro lordi. Al momento, dunque, sono state accantonate le ipotesi sia di un tetto molto più basso (Isee inferiore a 30 mila euro) sia di erogare l’incentivo in un’unica soluzione. Va detto, inoltre, che il bonus spetterà a tutti i residenti in Italia, anche quanti sono di cittadinanza straniera e potrà inoltre essere cumulabile con il credito irpef che già conosciamo. Ciò che non è ancora chiara è la modalità di richiesta della suddetta gratifica: occorrerà fare (è molto probabile) richiesta all’Inps.
Lungi dalla bontà dell’iniziativa, che, per carità, è anche lodevole, ci sono come al solito delle criticità che investono soprattutto l’equità della manovra. In primis, infatti, i grandi esclusi dal provvedimento sono i genitori di figli nati nel 2014, che si ritengono ingiustamente penalizzati. Per loro, infatti, resta solo la forma di un prestito agevolato per il biennio 2013-14 da restituire a tassi vantaggiosi alle banche. Non sarebbe più giusto estendere la misura a tutti i bimbi di età inferiore ai 3 anni, magari abbassando i 90mila euro di requisito reddituale?
L’azienda Italia è in crisi e ciò è un dato di fatto. L’impressione che emerge però in questi giorni è che il premier Renzi abbia fretta di dimostrare che il suo è un governo dei fatti.
La Lega Nord, qualche mese fa, aveva presentato alla Camera una proposta di legge volta a introdurre un sistema territoriale gratuito di servizi socio-educativi per l’infanzia. Prevedeva di reperire le risorse tassando gli immobili delle banche, oltre che prelevandone altre dal fondo anticrisi e dalla Cassa depositi e prestiti e dalle rimesse degli immigrati (il danaro guadagnato in Italia e spedito al Paese di provenienza). Prendendo come modello quello francese, era stato proposto un sistema articolato di servizi socio-educativi per l’infanzia (dai nidi d’infanzia a servizi integrativi e di baby sitter locali)cui far concorrere pubblico, privato, privato sociale e datori di lavoro, “con l’obiettivo di creare sul territorio un’offerta flessibile e differenziata di qualità”. Alla Regione sarebbe spettato definire linee-guida e requisiti di iscrizione ad elenchi ad hoc , promuovendo una specifica attività di formazione di concerto tra le strutture di formazione, lavoro e pari opportunità. Finora la proposta di legge non è stata presa in considerazione.
I dati Istat non sono certo incoraggianti: il costo medio per una famiglia è di 302 euro al mese, 114 per una famiglia calabrese, 403 per una lombarda. Negli ultimi anni, l’aumento delle rette è stato del 16%. Sorge spontanea la domanda: perché non aiutare le famiglie concretamente con misure di esenzione delle rette per i meno abbienti, adeguando le tasse alle loro concrete capacità reddituali?
La mancanza di infrastrutture a sostegno dell’infanzia e la debolezza dello Stato che delega sempre più al privato quelle che erano sue prerogative essenziali in uno Stato sociale, come il welfare appunto, inducono a riflettere. E non solo chi in Italia vorrebbe metter su famiglia.