La scuola di presepe napoletano si farà. Il progetto che, oltre a incrementare l’occupazione, aiuterà a tramandare un antico mestiere tipico del capoluogo partenopeo, è nato dalla collaborazione tra diverse realtà napoletane e americane. I giovani che seguiranno il percorso formativo apprenderanno tutti i segreti dell’arte presepiale napoletana del Settecento.
La scuola di presepe napoletano: un patto per la città
La scuola nascerà grazie a un accordo stipulato lo scorso giugno tra la National Italian American Foundation (NIAF) e il Comune di Napoli. La Fondazione Con il Sud, anch’essa parte attiva del progetto, ha avviato una campagna internazionale di fundraising per la raccolta di 300mila euro da investire nella creazione dell’Accademia dell’arte presepiale partenopea.
Altro partner dell’iniziativa è la Chiesa di Napoli impegnata nel patto educativo promosso dall’arcivescovo don Mimmo Battaglia. Nell’ambito di questo patto, che vuole prevenire il disagio giovanile attraverso la formazione e l’inserimento lavorativo, la Chiesa metterà a disposizione dell’Accademia alcuni suoi spazi all’interno di parrocchie e istituti religiosi della città. Una delle sedi della scuola sarà dislocata presso il Convento di San Gregorio Armeno. In futuro, si auspica che il progetto possa coinvolgere anche le altre aree della città e non solo studenti ma anche appassionati e turisti.
I giovani studenti dell’Accademia del Presepe Napoletano frequenteranno un corso triennale che li porterà a realizzare tutti quei personaggi che ruotano intorno alla natività e che da sempre animano il presepe napoletano.
Da Greccio…
Quando, nel Seicento, il presepe approdò a Napoli subì, infatti, una profonda trasformazione. L’idea, per dirla in termini più moderni, era nata a San Francesco d’Assisi che, nel 1223 aveva realizzato il primo presepe a Greccio. Aveva ottenuto da papa Onorio III l’autorizzazione a creare la prima rappresentazione della natività in forma tridimensionale dopo che la sacra famiglia era già da tempo oggetto di rappresentazione pittorica.
Ben presto la consuetudine di fare il presepe in concomitanza con la celebrazione del Natale si diffuse in tante altre chiese e da lì alle abitazioni private nobiliari. Dalla Toscana arrivò anche alle altre regioni d’Italia.
… a Napoli
Arrivò a Napoli dove, come dicevamo, fu letteralmente stravolto. Fino ad allora, infatti, il presepe aveva ritratto semplicemente la natività, quindi, Gesù in fasce circondato dalla madre Maria e dal padre Giuseppe. Per Napoli, però, il presepe era qualcosa di vivo che doveva trasmettere anche l’atmosfera che si viveva intorno alla capanna di Betlemme.
Il presepe, così, si allargò e fecero il loro ingresso diversi altri personaggi impegnati in scene di vita quotidiana. Comparvero il macellaio, gli avventori dell’osteria, la lavandaia, Benino e Stefania.
Benino, o Benito, è il pastore in posa dormiente che non manchiamo di collocare all’ombra di una pianta. Stefania, invece, è la donna che voleva a tutti i costi avvicinare la Madonna e adorare il Messia. Una missione impossibile per la donna poiché potevano avvicinarsi a Maria soltanto le madri. La donna non si perse di coraggio e, prese delle pietre e ricoperte con un lenzuolo, finse che fossero suo figlio. La sua devozione fu ricompensata: la pietra divenne un bambino al quale fu dato il nome di Stefano, il cui nome si festeggia il 26 dicembre.
Il periodo di maggiore splendore del presepe napoletano fu il Settecento, sotto il regno di Carlo III. Quello settecentesco, infatti, resta ancora oggi “il” presepe, con le sue statuine realizzate dando spazio ai minimi dettagli e vestiti con abiti in stoffa, secondo il gusto dell’epoca: il barocco. Presepi che possiamo ancora oggi ammirare grazie all’esposizione presso la Certosa di San Martino, posta in cima a una delle colline della città.
In copertina foto di Herbert Aust da Pixabay