Intrighi, omicidi e superstizioni
La Napoli dei romanzi di Annavera Viva è una città complessa, dove ciò che si vede non è mai quello che sembra. A svelare il vero volto della realtà, contribuisce Padre Raffaele, un giovane prete che si prodiga a sostegno di una comunità fortemente disagiata. Padre Raffaele, è il protagonista del sequel di romanzi di Annavera Viva, che dà al giovane prete gli strumenti per provare “a cambiare le cose”. Grazie alla sua empatia, tenacia e testardaggine, Padre Raffaele contribuisce a smascherare alcuni sinistri personaggi che inciampano nella sua vita e a donare speranza alla comunità.
Intrighi, omicidi e superstizioni sono il magma in cui si muovono Padre Raffaele e Don Peppino, il fratello dal quale è stato separato alla nascita. Degrado, prostituzione e violenza fanno da cornice ad una società disillusa che si aggrappa con avidità a ogni minima possibilità di riscatto sociale e personale. Ed è Padre Raffaele che prova, a fatica, a dare speranza al quartiere.
I romanzi di Annavera Viva hanno riscosso immediatamente un grande successo di pubblico e critica. L’affermazione è arrivata già con il suo primo romanzo Questioni di sangue edito da Homo Scrivens nel 2014. Hanno fatto seguito Chimere (Homo Scrivens 2014) e la Cattiva stella (2018), due romanzi nei quali continuano le avventure di Padre Raffaele nel quartiere Sanità.
La Napoli di Annavera Viva: Intervista all’autrice
Dalla lettura dei suoi romanzi sembra che lei conosca perfettamente le dinamiche e la vita sotterranea di uno dei quartieri più emarginati di Napoli, il rione Sanità. Da dove trae ispirazione per le vicende dei suoi intrecci?
Generalmente parto da un mondo che mi propongo d’indagare. E man mano che scavo arriva l’ispirazione. L’ho fatto con il mondo delle drag queen, quello della divinazione, del teatro ecc.
Per me gli uomini sono inseriti a gruppi in dei microcosmi, delle bolle fatte di consuetudini, gesti, parole, problematiche e quotidianità che condividono tra di loro e che sono perfettamente sconosciute agli altri. Prendiamo ad esempio il mondo di un attore fatto di copioni, di set, di trucco, di registi, di tecnici e di mille figure, espressioni, meccanismi e abitudini che condivide con chi fa parte dell’universo cinema ai quali, tutto questo risulta familiare ma che, ai più è sconosciuto. Pensi a quanti universi ci sono. E a come è interessante aprire quelle porte entrare e guardare tutto con lo stupore della prima volta.
Questa diventa una grande occasione per arricchirsi perché, sovente, le vite, si limitano alla conoscenza della propria bolla. Poi lo studio del quartiere mi permette d’inserirle nel contesto. Perché ogni posto ha delle peculiarità. Ma l’animo umano è uguale ovunque.
Qual è stato il motivo che l’ha spinta a scegliere un prete come protagonista dei suoi romanzi?
Ero restata fortemente suggestionata da una visita a Santa Maria alla Sanità, la volevo nei miei romanzi e questo ha reso necessario un prete che l’abitasse
In che genere rientra il suo sequel? Dobbiamo parlare di giallo oppure di noir?
Questi romanzi sono stati chiamati in tanti modi, gialli sociali, romanzi antropologici, addirittura storici, perché di fondo è difficile inquadrarli in un unico genere. C’è si una parte investigativa costruita nel modo più classico che l’inserirebbe nei gialli, le passioni viscerali che li spingerebbero verso il noir, uno studio dell’uomo, delle sue pulsioni e delle sue domande che ha molto di antropologico, come pure una fotografia e un’indagine del contesto sociale che li rende al loro volta storici e sociali. Ma non mi sembra necessario inserire un romanzo in un genere specifico. Me lo insegnò un vecchio professore di lettere facendomi quest’esempio: Potresti mai dire che I Fratelli Karamazov è un giallo? Perché tecnicamente lo è. Da li imparai a fare un unico tipo di classificazione, li divido in buoni e cattivi romanzi e credo sia sufficiente.
Nel suo primo romanzo, Questioni di sangue, don Raffaele cerca di mettere in piedi una scuola d’informatica che riscuote molto successo tra gli adolescenti, primo fra tutti Federico. I suoi romanzi mettono in evidenza l’emarginazione di una certa fascia sociale napoletana; ci sono dei messaggi che vuole comunicare attraverso la positività delle azioni messe in campo dal suo protagonista?
Diciamo che quando scrivo una storia non parto dalla idea di voler trasmettere un messaggio ma da quella di accendere i riflettori su una scena. È poi la vita, che inquadrata, pone in automatico delle domande. È chiaro che alcune azioni e soluzioni sono quelle in cui l’autore intimamente crede. Quando si parla di una zona emarginata, per quanto si contestualizzi, si sta parlando sempre di tutti gli emarginati del mondo, di miserie, ingiustizie e privazioni che si trovano uguali ovunque e alle quali, io credo profondamente, si debba rispondere con concretezza, non con parole ma con occasioni.