I centristi scelgono con quale coalizione aggregarsi,
programmi posizioni e uomini i dilemmi
L’Udc si appresta a far valere il suo peso nella competizione elettorale campana. Ora sembrerebbe in dirittura d’arrivo l’accordo con il Pdl, l’ultimo ostacolo parrebbe dovuto, a sentire i rumors, alla definizione delle candidature in alcuni enti locali (in primis la provincia di Caserta). Il partito, conscio del proprio pacchetto di voti in competizioni così equilibrate, si gingilla aspettando l’ultimo momento utile per ratificare le alleanze. In effetti, dal loro osservatorio, l’attualità politica certifica il successo di una strategia complessiva inaugurata nelle Politiche del 2008 quando Casini, contrastando l’assetto tendenzialmente bipartitico di quella competizione, rifiutò di sciogliere il suo partito nel Pdl, traghettandolo verso una legislatura di sicura opposizione. A distanza di due anni, si applica la politica dei due forni su tutto il territorio nazionale, e né il centro-destra né centro-sinistra, anche criticandola, hanno il coraggio di imporre un aut-aut. In Campania, l’accordo con il centro-destra si presenta come l’esito più naturale per una serie di ragioni: l’Udc è stata all’opposizione con il centro-destra per tutta l’era bassoliniana; il dominus dell’Udc campana è De Mita, che dopo aver condiviso il governo della Regione con i DS fu sacrificato dal PD veltroniano sull’altare del rinnovamento; le dinamiche interne al Pdl e gli scontri tra Cosentino e Bocchino vedono quest’ultimo propenso a riassorbire l’Udc nell’alleanza, anche per bilanciare le forze con gli avversari. Per i centristi l’unica incognita è nel lungo periodo. I campani, come gli italiani, hanno dimostrato di non essere bipartitici, però di apprezzare il bipolarismo.
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Andrea Procaccini