Questa settimana abbiamo sentito diverse notizie riguardanti il possibile rimpatrio in Myanmar dei civili Rohingya attualmente rifugiati nel Bangladesh: notizie che l’UNICEF coglie con estrema preoccupazione, in particolar modo per ciò che un simile trasferimento potrebbero comportare per i bambini.
Myanmar: manifestazione di rifugiati
Ieri, i nostri colleghi che operano al campo di Unchiprang, nella città di Cox’s Bazar – uno dei campi identificati per i rimpatri – hanno assistito a una grande manifestazione di rifugiati Rohingya contro il piano di rimpatrio.
Le autorità del campo hanno ribadito il messaggio secondo cui esse sono pronte a rimpatriare i rifugiati su base volontaria, e che nessun rifugiato sarà costretto a tornare nel Myanmar se non lo desidera.
L’UNICEF apprende con favore questo orientamento da parte del Governo del Bangladesh e ribadisce di sposare in pieno l’approccio dell’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati (UNHCR) su questa questione: qualsiasi rimpatrio deve essere volontario, sostenibile, condotto in sicurezza e con dignità.
Ci dissoceremmo invece con fermezza da qualsiasi rimpatrio di bambini che non fosse conforme a questi criteri. I bambini non devono essere separati dai loro genitori o tutori. I bambini non devono essere esposti ad alcun tipo di stress o disagio in caso di rimpatrio, e quelli malati non devono essere trasferiti della loro completa guarigione.
Myanmar: garantire la sicurezza dei profughi
Tutti i sondaggi informali condotti dai nostri colleghi nei campi per rifugiati convengono sulla medesima conclusione: la stragrande maggioranza dei rifugiati Rohingya non desidera essere rimpatriata, a meno che non siano garantite loro condizioni di sicurezza.
Il risultato è che, sebbene le condizioni nei campi siano difficili, esse rimangono comunque preferibili rispetto al ritorno in Myanmar. Per molti, è ancora vivo il trauma sperimentato nel corso dell’esodo dal Myanmar negli ultimi mesi del 2017 .
E non è difficile condividere le loro preoccupazioni. I bambini e le famiglie Rohingya rimasti nello Stato di Rakhine (la regione del Myanmar confinante con il Bangladesh, dalla quale proviene l’esodo del popolo Rohingya) continuano ad affrontare pesanti difficoltà e necessitano costantemente di assistenza umanitaria a causa delle restrizioni alla libertà di movimento e del limitato accesso a servizi di base, inclusi sanità e istruzione.
Ancora pochi giorni fa, il 13 novembre, l’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha rivelato di continuare a ricevere notizie di violazioni dei diritti umani dei Rohingya rimasti nel Rakhine settentrionale, accuse che includono omicidi, rapimenti, arresti arbitrati e gravi restrizioni dei diritti alla libertà di movimento, alle cure mediche e all’istruzione.
Myanmar: emergenza e bambini
Molte organizzazioni umanitarie che hanno lavorato nel Rakhine settentrionale non hanno potuto riprendere le loro attività nella misura desiderata o alle condizioni precedenti l’agosto 2017, a causa delle restrizioni imposte dal Governo del Myanmar.
L’UNICEF e la comunità umanitaria nel Myanmar continuano a chiedere un accesso incondizionato e con procedure semplificate alla popolazione civile, al fine di distribuire in modo tempestivo e calibrato sui bisogni gli aiuti di prima necessità, garantire protezione e ricostruire un senso fiducia tra le comunità.
Così, mentre la situazione nel Myanmar rimane estremamente allarmante, la nostra preoccupazione si estende anche ai bambini rohingya rifugiati nel Bangladesh meridionale.
In particolare, l’accesso all’istruzione rimane in cima alle nostre priorità, soprattutto per quanto riguarda gli adolescenti nei campi profughi: la carenza di attività educative è una vera e propria piaga, come abbiamo denunciato in un rapporto reso pubblico nel mese di agosto.
Myanmar: l’appello alla comunità internazionale
Vogliamo continuare a lavorare per fornire una rete di Centri per l’Apprendimento e Spazi a Misura di Bambino. Adesso esistono più di 1.100 centri per l’apprendimento gestiti dall’UNICEF e i suoi partner nei campi che stanno offrendo istruzione a 124.000 bambini.
L’UNICEF reitera il suo appello alla comunità internazionale affinché prosegua a cooperare con i governi e con la società civile, sia in Bangladesh che nel Myanmar, a sostegno dei bambini e delle famiglie Rohingya, con l’obiettivo di giungere a soluzioni a lungo termine della crisi, basati sul rispetto e sulla tutela dei diritti umani del popolo Rohingya.