“My personal Covid” di Luigi Carletti, giornalista e scrittore, oggi editore, è la cronaca in presa diretta di un viaggio (e ritorno) nell’inferno del virus. Il racconto puntuale dell’evoluzione della malattia, dalle prime cure in casa fino al ricovero al Policlinico Umberto I di Roma, quando il testa a testa con il Covid diventa una lotta per la sopravvivenza. Una storia molto personale che però è anche la storia di tante altre persone.
Sabato 8 maggio 2021. C’è una data cruciale nel racconto, quasi un diario, di Luigi Carletti. In quella che avrebbe dovuto essere la giornata del vaccino, all’hub della stazione Termini, Carletti si ritrova al pronto soccorso di Malattie infettive del Policlinico. C’è andato di sua volontà, e presto scoprirà che questa scelta gli ha salvato la vita. E mentre osserva, con il piglio da giornalista di lungo corso, gli altri contagiati come lui, comprende di essere appeso a un filo. O meglio, a un ascensore: al primo piano i malati meno gravi, al piano terra la terapia intensiva.
Ironia, sincerità, fatalismo, tristezza: ci sono tutte le gamme di sentimenti nel libro “My personal Covid”, in uscita in questi giorni con Typimedia Editore nella collana Phoenomena Trend. E non manca l’analisi su ciò che è bene fare ma, soprattutto – avverte l’autore – su ciò che non bisogna fare. Perché la “vigile attesa” che propone il protocollo da Covid-19, scrive Carletti, è l’anello debole della catena. E aspettando a casa con paracetamolo e saturimetro si rischia di oltrepassare il punto fatale. Quanti ne ha uccisi la “vigile attesa”? – si chiede Carletti. Una domanda che nel libro trova risposte destinate ad aprire non poche polemiche.
“Adesso comincio a capire perché in tanti ci hanno lasciato la pelle: il punto di non ritorno è esattamente come questo virus. Subdolo, malvagio, imprevedibile” (Luigi Carletti).