Ci son voluti cinque film e vari riconoscimenti importanti per distribuire anche in Italia l’ultima opera del ventiseienne regista canadese Xavier Dolan. Mommy è infatti nelle sale italiane (sempre poche, sempre solo quelle che si permettono “linee editoriali” più ricercate) da giovedì 4 dicembre grazie alla Good Films. Il film vince il premio della giuria al festival di Cannes nel 2014, soddisfazione a cui Dolan è abituato sin dai suoi esordi, date le nomination e i premi che i suoi film precedenti si sono aggiudicati. Les Amoures imaginaires è in nomination nella sezione Un certain reguard a Cannes nel 2010; sempre a Cannes Lowrence Anyways vince nel 2012 la Queer Palm e il premio per migliore attrice a Suzanne Clement; nel 2013 Tom à la ferme vince alla Mostra di Venezia il premio Fipresci.
Mommy è la storia di Diane (Anne Dorval) e di suo figlio adolescente Steve (Antoine-Olivier Pilon); lei: vedova con mille difficoltà nel provvedere alla sussistenza della famiglia, lui: ragazzo problematico con scatti d’ira pericolosi e un attaccamento morboso alla madre, la quale proverà fino all’ultimo a salvarlo da se stesso con le sue sole forze, sperando nel successo dell’affetto incommensurabile che nutre per lui, e nella vicinanza di un’insegnante (Suzanne Clément) che diventerà per entrambi un punto di riferimento essenziale.
Una sensazione liberatoria, guardando i film del giovane autore, viene fuori dal constatare quanto le scelte registiche siano imponenti, visibili, prepotentemente presenti. Sono veicoli di un racconto che vuole dare risalto al piano formale intrecciandolo ben bene a quello dei contenuti, sperimentando un andamento emotivo da montagne russe, che bellamente costringe a porre l’attenzione su un piano simbolico che si allarga a riferimenti a cui lo spettatore che frequenta la sala (al contrario dei fruitori del web, maggiormente alfabetizzati a nuove trovate audiovisive) non è avvezzo. Prima di tutto l’aspect ratio delle inquadrature di Mommy si presenta in un formato 1:1, vale a dire che l’immagine è più stretta di quelle che siamo abituati a vedere al cinema, assume proprio la forma di un quadrato. Questa scelta ha un preciso significato che viene svelato a un punto del film in modo esplicito ma così sorprendentemente da non risultare didascalico. Durante il racconto inoltre assistiamo a delle vere e proprie digressioni temporali musicali, che assumono un valore estetico a sè stante, come un accompagnamento dentro alcune pause, che Dolan ci concede, dalla tensione emotiva drammatica che percorre il film. Sono scelte musicali curiose, o meglio brani che in film d’autore indipendenti non sentiamo mai, per esempio On ne Change Pas di Celine Dion o il super classico degli anni novanta Wanderwall degli Oasis intervengono in una delicata sovrapposizione tra extradiegetico e diegetico arricchendo il film di una natura plurima. Già Lowerence Anyways raggiungeva nel 2012 un picco di gusto legato a questo tipo di inserti musicali, grazie alla scelta di raccontare stati emotivi complessi tramite la trasformazione drammaturgica in supplementi di video arte che coinvolgevano tutti i linguaggi. Con Mommy forse la sperimentazione di questo tipo si ridimensiona rispetto a quel film precedente, ma resta protagonista di un prodotto che nonostante trasudi a pieno una contemporaneità, non ci fa diffidare, riconosciamo in questo una bellezza pari a quella che amiamo contemplare in riferimenti del passato.