Fa tappa a Roma “Giovani Ambasciatori contro il cyberbullismo per un web sicuro… in Tour…”, la campagna che il Moige – Movimento italiano genitori, sta realizzando sul territorio nazionale con Polizia di Stato, il sostegno di Enel Cuore Onlus e Trend Micro, ed il patrocinio del Ministero dell’Istruzione, del Ministero delle Politiche Sociali e di ANCI – Associazione Nazionale Comuni Italiani.
Il Centro mobile di prevenzione, sostegno e supporto contro il cyberbullismo è stato a disposizione dei ragazzi, dei genitori e dei docenti dell’lPSEOA Pellegrino Artusi di Roma per fornire loro consigli e supporto sul tema del bullismo e cyberbullismo.
L’incontro è stato patrocinato dall’Amministrazione comunale di Roma Capitale, rappresentato da Laura Baldassarre, Assessora alla Persona, Scuola e Comunità solidale del Comune di Roma.
Gli esperti dell’unità mobile contro il cyberbullismo hanno coinvolto i ragazzi, i genitori e i docenti dell’Istituto con attività di discussione e di partecipazione attiva.
L’obiettivo è contrastare il fenomeno stimolando l’analisi e la riflessione sulle motivazioni che portano ad assumere, tramite la rete web, atteggiamenti aggressivi e talvolta violenti nei confronti dei coetanei in ambito scolastico e sociale.
La prima unità mobile contro il cyberbullismo
Per combattere il cyberbullismo il Moige ha messo a disposizione una unità itinerante con personale specializzato che sta effettuando il giro dell’Italia raggiungendo le scuole e i comuni su tutto il territorio nazionale.
Il centro mobile è allestito con uno spazio modulare e polifunzionale con aree adibite a studio, ufficio e mini ambulatorio in cui si possono effettuare e richiedere consulenze, oltre a ricevere informazioni specialistiche da parte degli esperti della task force del Moige.
Gli ultimi dati sul fenomeno
L’indagine sul cyberbullismo dell’Università La Sapienza di Roma (su un campione di 1.342 ragazzi della Scuola Secondaria di secondo grado con un’età compresa fra gli 14 e i 19 anni) ha evidenziato quanto sia difficile concettualizzare il cyberbullismo semplicemente come una particolare tipologia del più tradizionale e conosciuto bullismo. Sono troppe le differenze per non considerare questa particolare azione violenta, come fondata su aspetti specifici. Nella rete i contorni dell’azione violenta assumono connotazioni più sfumate; vi è una totale assenza di limiti spazio-temporali, questo rende per la vittima più complicato attuare processi di evitamento. Il cyberbullismo costituisce un ambito vasto, ancora poco conosciuto, che pone evidenti difficoltà in coloro che hanno funzioni educative e formative: famiglia, scuola, ecc…
Ecco alcuni dati della ricerca: sempre più ragazzi rendono accessibile a tutti il materiale, inconsapevoli dei rischi e dei problemi di privacy che genera questo atto. Infatti, ben 1 ragazzo su 3 rende sempre accessibile “a tutti” il materiale condiviso tramite social e più della metà è consapevole che il materiale condiviso può essere viralizzato da altri; Ben 9 ragazzi su 10 usano il “telefonino” sia per i social, sia per l’accesso al web, e per un uso essenzialmente ricreativo; solo 2 ragazzi su 10 invece usano “tablet o pc ”specie per un uso di studio e/o lavoro. Il 20% dei ragazzi non riconoscono la gravità delle trasgressioni sul web.
Interessante il dato che 7 ragazzi su 10 ritengono che le vittime di cyberbullismo debbano parlare solo con gli amici. In particolare, dal focus è emerso un altro dato preoccupante: diminuiscono enormemente i riferimenti alle relazioni verticali (genitori, insegnanti, Forze di Polizia, ecc.), anche nei casi in cui un ragazzo venga coinvolto in episodi di cyberbullismo. Il minore per i riferimenti si orienta quasi esclusivamente, al gruppo dei pari, escludendo le relazioni con il mondo adulto. Questo rende la vittima maggiormente indifesa rispetto a reiterati attacchi di molestatori online.
Ancora: ciò che viene percepito come “provocazione” può giustificare condotte persecutorie o di vendetta articolate a vari livelli e senza attenzione per i sentimenti della vittima. Un ulteriore elemento emerso, riguarda che il giudizio dei ragazzi in termini di legalità di un comportamento è scorretto non da una conoscenza precisa delle norme, ma dal proprio vissuto di gravità dell’evento. Sono le emozioni evocate dalle storie, in particolare i processi di empatia con la vittima, a sorreggere nel minore, le proprie convinzioni normative: è illegale ciò che appare in riferimento alla propria emotività, ed al proprio mondo valoriale. Gli aspetti normativi non sono percepiti pertanto come prescrizioni comportamentali “oggettive” ma come ambiti di giudizio, orientati dalla propria soggettività.