Sabato 24 settembre, presso la libreria “Menabò” di Milano, si è inaugurata la mostra personale del veneziano trapiantato a Milano, Giancarlo Pavanello, Mixaggio, che resterà in esposizione fino al 15 ottobre. Dall’auto-presentazione che accompagna la mostra, ci piace testimoniare la propensione di Pavanello verso nuovi linguaggi, un eclettismo che si dispiega tra produzione di libri in esemplare unico, tirature limitate, quadri, poesie visuali, fumetti, poesia lineare, oggetti e quant’altro, all’insegna di un «azzardo di provare a vedere tutto con uno sguardo nuovo, con una mente curiosa».
Abbiamo raggiunto il poeta-artista Giancarlo Pavanello via e-mail chiedendogli di rilasciarci un’intervista sulla mostra da poco conclusa e sulla sua produzione, soprattutto quella visuale.
Chi è Giancarlo Pavanello? In poche parole, ci dia una descrizione di sé.
Sono una persona tragica ma con senso dell’umorismo: doppiamente tragico in quanto sono nato con una doppia vocazione: la letteratura (e peggio: la poesia) e le arti visive. Si vede tutto questo come il privilegio degli eletti degli dei. In realtà al giorno d’oggi sarebbe più opportuno occuparsi d’altro.
Quale messaggio reca in sé la mostra?
Ho due mostre personali in cantiere: una a Milano, “mixaggio”, che finirà il 15 ottobre, l’altra a Caltanissetta, “scritture polimorfe”, sarà inaugurata proprio il 15 ottobre. In entrambe sto cercando di indicare un mescolamento di linguaggi, sia verbali che visivi, su cui sto insistendo da tanti anni.
Una poesia visuale è senza dubbio un’opera d’arte, ma è ritenuta la sorella povera della pittura. Come viene accolta dalle gallerie?
La “poesia visuale” è stata una cosiddetta “avanguardia” del Novecento o, meglio, una tendenza genuina mai veramente lanciata dalla critica e dai mercanti d’arte (di fatto non ha seguito nessuna moda, in quanto se ne possono rinvenire tracce perfino nell’antichità, in secoli passati e nelle culture di altre parti del globo). Un’arte, certo, e diversa dalla pittura in senso stretto: quindi non la definirei una “Cenerentola”, mi sembra piuttosto una “principessa”. Tuttavia, è trattata da poverella dai mercanti d’arte, quindi dai critici e dai conservatori dei musei.
Lei crea anche libri d’artista, libri contenitore, libri-oggetto.
A dire il vero ho sempre fatto mostre personali e partecipato a mostre collettive esclusivamente con “libri d’artista”, dal 1975 al 1989. Già intorno al 1989 ho ripreso a produrre anche opere da parete, quando mi sono accorto che ormai era esplosa una vera e propria proliferazione di questo genere, spesso stucchevole e considerato facile facile, un po’ come una metamorfosi della mail art, su cui avrei molto da obiettare. Quando avevo iniziato non era nemmeno in voga la formula “libro d’artista”. Si pensava ancora ai “libri figurati d’autore” o al massimo, con Germano Celant, agli “off media”, o al libro-opera.
Come nascono le sue poesie visuali? Che tecnica usa?
Mi vengono in mente come enunciati poetici nei momenti più disparati della giornata, poi li trascrivo su qualsiasi foglio di carta a portata di mano o a volte direttamente come video-scrittura da quando è iniziata l’epoca del PC. Poi lavoro queste poesie curando la forma (e fino a questo punto possono essere considerate e stampate come “poesie lineari”). Poi però subentra anche la fantasia cromatica o quant’altro, per cui vengono rielaborate per aggiungere altri spessori non “dicibili” a parole.
La poesia visuale, ormai vecchia di oltre cinquant’anni, oggi sembra aver perso la sua peculiarità. Qual è il suo parere sulla poesia visuale odierna?
La “poesia visuale” non è stata solo a-semantica, tutt’altro. Spesso la parola è immagine, non solo associata a un’immagine. Ci sono stati tanti tipi di sperimentazioni nell’ambito di quelle che è preferibile riunire nella formula “ricerche verbo-visive”: erano state soprattutto il tentativo di rompere i canoni tradizionali della poesia vecchia maniera, un modo per sottolinearne la crisi fino alla sua improponibilità nell’epoca moderna, fino alla rinuncia della parola scritta per privilegiare la dimensione sonora del testo (ma sulla “poesia sonora” o, come si diceva, “fonetica”, preferisco sorvolare).
Come è nato l’approccio alla poesia visuale nel suo percorso di poeta lineare?
Scrivevo e disegnavo già da bambino, le prime poesie sottratte alla distruzione le avevo scritte a sedici anni, pubblicate solo quando avevo l’intenzione di ripercorrere una strada interrotta (“fossili”, Rebellato, 1973). Ignoravo tutto delle “ricerche verbo-visive” allora conosciute. Un amico allora studente all’Accademia di Belle Arti mi ha ricordato che intorno ai 17-18 anni cercavo di scrivere le parole “sole rosso” ma facendole stare a pacchetto su un foglio di carta da notes (in tutta evidenza era la tendenza alla visualizzazione enfatica di un testo verbale).
Qualche parola la dobbiamo spendere anche per la sua passione per il fumetto che ha racchiuso nel volume Svestire gli ignudi, pubblicato nel 2012.
Intorno al 1990 avevo rifatto pace con i colori, ritornavo alla pittura, sempre nel contesto delle scritture. Nello stesso tempo, come sempre ero incline allo sperimentare e così mi sono ritrovato in uno stato psicologico precedente le “ricerche verbo-visive” in senso stretto. Avevo cominciato a mixare un po’ tutto quello su cui avevo lavorato fino ad allora, sia in campo visivo-figurativo sia in campo letterario. Va da sé che mi interessava il “fumetto d’autore”, e così ho operato… nel senso dell’“anti-fumetto”. Inventato un protagonista, Franz Mensch, e inventata una serie: “svestire gli ignudi”.
Per concludere: quali programmi ha in agenda?
Continuare nel mio studio il rimescolamento di quanto ho prodotto finora e magari
aggiungere qualcos’altro, il mixaggio, le scritture polimorfe, dalla poesia alla pittura, dal disegno all’anti-fumetto, dal design all’illustrazione, dai libri d’artista alle opere da parete e quant’altro, dal Novecento alla preistoria, dall’Europa alle culture extra-europee. Fare mostre. Pubblicare. Alla mia età, senza eredi, è prioritario procedere con varie donazioni a istituzioni e a musei, a collezioni pubbliche.