Saranno i leader del futuro e più in generale, quelli che, nel 2025, costituiranno il 75% della popolazione attiva. Sono loro, i Millennials.
«I Millenials sono stati definiti nei modi più diversi dal punto di vista lavorativo» spiega Carola Adami, CEO di Adami & Associati, società di head hunting leader nella ricerca e selezione di personale qualificato.
«Gli osservatori e le stesse aziende, a proposito di questa generazione, parlano e hanno parlato di lavoratori pigri, egocentrici, scoraggiati, ma anche di professionisti particolarmente portati all’utilizzo delle nuove tecnologie, di risorse fondamentali per la digital trasformation aziendale, di talenti maggiormente attratti dalla crescita professionale che dagli alti salari».
In poche parole, dunque, le aziende hanno di fronte a sé un’immagine piuttosto complessa e confusa dei Millennial.
Millennials e lavoro: chi sono davvero questi giovani
A partire da queste basi, non deve stupire il fatto che molte imprese abbiano delle difficoltà nell’attirare i talenti di questa generazione, temendo tra l’altro di non essere poi in grado di organizzare delle giornate lavorative altamente produttive con delle risorse con esigenze marcatamente ‘diverse’ da quelle ormai note della generazione X.
«In generale, alle competenze manageriali e alle skills di problem solving tipiche della X Generation, i Millenials ribattono con un maggiore entusiasmo, con alte capacità tecnologiche e con un maggiore bisogno di essere riconosciuti come individui all’interno dell’azienda».
Millenials e lavoro: come valorizzare il loro potenziale
Ma cosa deve dunque fare un’azienda per assicurarsi le competenze dei Millenials e per gestirli al meglio?
«Il primo e fondamentale punto» spiega l’head hunter Adami «è capire che i giovani, in generale, non danno la priorità assoluta al salario, assegnando invece un’importanza inedita alla flessibilità e alla crescita personale».
Il primo passo da fare per attirare dei Millennials in azienda e per sfruttare al meglio il loro potenziale è dunque quello di essere meno rigidi per quanto riguarda orario e luogo di lavoro, abbandonando il vecchio concetto del cartellino da timbrare ogni mattina, alla stessa ora.
Questo, ovviamente, richiede – almeno inizialmente – una massiccia dose di fiducia nei confronti dei propri dipendenti.
Con il crescere della flessibilità, però, aumenterà anche il benessere aziendale, per i Millennial e non solo, e dunque anche la produttività.
Il secondo passo da fare è poi quello di assicurare delle possibilità di crescita ai giovani talenti, i quali difficilmente sono disposti ad accettare un posto di lavoro che non prevede percorsi formativi e occasioni di fare passi avanti in tempi contenuti.
Accanto al salario, i Millenials si aspettano infatti di ricevere dall’azienda anche nuove competenze e nuove conoscenze.
Lo dimostra un’indagine condotta da Udemy, la quale ci dice che, per il 42% dei giovani, l’attività di Learning & Development è il benefit più importante subito dopo il salario. Non stupisce dunque scoprire che, nel 73% dei casi, i Millennials sono persuasi di dove imparare ancora molto per fare degli avanzamenti di carriera.
«I Millenials, inoltre, assegnano un grande valore al comportamento dell’azienda, e quindi all’etica dell’impresa» spiega Adami. E questo, in molti casi, può essere un problema, partendo dal presupposto secondo il quale – stando ai dati Deloitte – solo il 48% dei Millenials è convinto che le aziende si comportino in modo etico.
«Diventa dunque fondamentale fornire ai lavoratori uno scopo comune e allo stesso tempo etico, una mission che sappia incrementare il loro entusiasmo».