L’Illuminismo fu in Europa il movimento culturale e politico che affermò i valori imprescindibili della ragione applicata alla politica, alla filosofia, alle arti, alla vita quotidiana. I primi nomi che ci vengono alla mente come rappresentanti dell’epoca sono quelli di Voltaire, di Montesquieu, di Diderot. Ma a brillare di luce propria in quel consesso di menti eccelse c’era anche una donna, la Marchesa Émilie di Châtelet, nata a Parigi il 17 dicembre del 1706 e morta a Lunéville il 10 settembre del 1749, considerata uno degli ingegni più grandi del XVII secolo.
Crebbe nell’ambiente di corte della Francia di Luigi XIV (Re Sole) dove suo padre ricopriva incarichi di alto prestigio. Aveva solo sedici anni quando fu introdotta contemporaneamente alla vita brillante della nobiltà dell’epoca e agli studi linguistici e scientifici, appannaggio solo dei rampolli nobili di sesso maschile. La vita mondana cui partecipava non le impedì mai lo sviluppo dei suoi numerosi interessi intellettuali.
Bella, intelligente, piena di fascino, amante della vita in tutti i suoi aspetti, versata nelle lingue (conosceva latino, greco, tedesco) e appassionata di teatro, musica, danza, nonostante le donne in quegli anni non avessero accesso agli studi superiori di livello universitario, raggiunse, in modo autodidatta e con l’aiuto di insegnamenti privati di scienziati e letterati illustri, una preparazione che non aveva niente da invidiare ai grandi intellettuali illuministi, Da loro prendeva lezioni e con loro discuteva nei salotti dell’epoca delle tematiche in voga, senza farsi intimorire dalla loro sapienza ma anzi sfidandoli in un dialogo sempre acuto.
Si racconta che la sua passione per gli studi scientifici la portasse a travestirsi da uomo e frequentare i caffè parigini dove gli intellettuali e gli scienziati si riunivano, dal momento che le donne ne erano escluse.
Il 12 giugno 1725, diciannovenne, sposò il marchese Florent Claude du Châtelet all’epoca trentenne. Il matrimonio, come era costume nella nobiltà del tempo, fu deciso più su criteri di censo che su ragioni sentimentali, i due ebbero infatti tre figli, ma vissero distanti e nella reciproca concessione di un’assoluta libertà personale. Il legame matrimoniale non impedì mai a lei di vivere una vita sentimentale assai libera: ebbe due relazioni importanti, con il marchese di Guébriant e con il duca di Richelieu.
Ma il rapporto sentimentale più duraturo della sua vita fu quello con Voltaire; il sodalizio culturale e sentimentale tra i due iniziò nel 1733: lui era già, a 39 anni, all’apice del successo, ma malvisto nell’ambiente di corte per le sue idee liberali, lei, a 28 anni, conduceva la vita dorata di una rappresentante della classe più agiata e influente. Incuranti dell’opinione pubblica si stabilirono nel castello di Cirey, nell’Alta Marna, di proprietà del Marchese di Châtelet. Il castello fu riadattato per poter ospitare il gran numero di visitatori che la fama intellettuale della coppia attirava. La loro biblioteca arrivò a contare ben 21.000 titoli, cioè più o meno il livello di un’istituzione universitaria del tempo.
L’influenza reciproca fu sempre molto stimolante. Voltaire spinse la Marchesa ad approfondire sempre più la tematica scientifica, così come la Marchesa fu la sua maestra dal punto di vista filosofico, colei che lo introdusse all’astrazione filosofica e al mondo dei concetti. Voltaire infatti prima di conoscerla scriveva soprattutto pamphlet e teatro. La Châtelet pubblicò nel 1737 gli Elementi della filosofia di Newton. L’opera reca nella prefazione il nome di Voltaire come coautore, ma non c’è dubbio che l’apporto teorico determinante fu della Châtelet. Nel 1740 diede alle stampe Istituzioni di fisica, un trattato sulle teorie del filosofo Leibniz.
Nel 1746, presa da un’improvvisa passione per il poeta Saint Lambert, abbandonò Voltaire.La relazione si risolse tragicamente perché la Châtelet diede alla luce una bambina che morì subito dopo la nascita e lei stessa morì sei giorni dopo, assistita negli ultimi momenti da Voltaire, col quale era rimasta in ottimi rapporti, e da Saint-Lambert.
Nel 1749, poco dopo la morte di Émilie, Voltaire scrive a un’amica: “Non ho perduto un’amante ma la metà di me stesso. Un’anima per la quale la mia sembrava fatta”. La relazione tra il filosofo ed Émilie du Châtelet è stata una delle storie d’amore più appassionate dell’Illuminismo, una relazione in cui si mischiavano il piacere dei sensi e un instancabile lavoro intellettuale.
Scritto subito dopo la fine del sodalizio con Voltaire, “Il Discorso sulla felicità” fu pubblicato solo dopo la morte dell’autrice, Considerato un capolavoro della saggistica illuminista supera certi limiti dell’Illuminismo maschile, per la capacità della sua autrice di unire nella vita come nella scrittura una rigorosa intelligenza scientifica, una notevole cultura classica e metafisico-religiosa con una intensa passionalità, che la portò a sfidare ogni pregiudizio sociale.
Voltaire soprannominò la Marchesa “Pompon Newton”, proprio per indicare quella meravigliosa complessità in cui sentimento e ragione convivevano armoniosamente in lei e la donna elegante, seduttiva, che ballava avvolta di mussola e ingioiellata, si trasformava poi nella scienziata rigorosa che trascorreva ore sui libri e nel suo laboratorio a sperimentare ciò che la sua indagine scientifica le aveva suggerito.
A differenza di altre concezioni, che si limitano ad individuare la felicità nell’assenza del dolore, la Marchesa di Châtelet insiste sul carattere positivo della felicità. Scrive infatti: “Non varrebbe la pena di sopportare la vita, se l’assenza del dolore fosse il nostro unico scopo. Il nulla sarebbe meglio, poiché sicuramente è lo stato in cui si soffre meno. Occorre dunque cercare di essere felici. Io sostengo che per essere felici si devono avere delle illusioni e ciò non ha bisogno di alcuna prova”. Inoltre, per lei, uno dei grandi segreti della felicità è moderare i desideri e amare ciò che già si possiede.
L’importanza del testo sta anche nella legittimazione del piacere e della felicità terreni che l’autrice porta avanti, immettendovi anche personali testimonianze della sua infinita gioia di vivere che si esprimeva allo stesso tempo nella dimensione privata degli affetti e delle amicizie, così come nello studio, che consigliava a tutte le donne come “piacere” stabile in grado di riempire una vita.
La scrittrice francese Elisabeth Badinter nel suo libro “Ode a Madame du Châtelet, nostra signora dei Lumi” ci racconta la straordinaria storia della marchesa e dice di lei che fu “Un personaggio moderno, una delle madri spirituali delle donne del ventunesimo secolo”.
Oltre che filosofa, scienziata, Émilie du Châtelet era anche un’ottima attrice. Aveva un’energia formidabile, dormiva e mangiava poco. Amava pazzamente il sesso e nella sua vita ne godette liberamente i piaceri. Adorava le emozioni forti pur essendo una donna razionale, interessata allo studio, profondamente colta.
Scelse di studiare matematica, fisica e metafisica con l’analisi attenta dei testi biblici, fino alla fine dei suoi giorni, con un impegno costante che ne fece il personaggio più complesso della scienza del suo tempo.