Questi ricordi senza casa
La memoria è un’ombra estesa
un disegno per recuperare la vita
rimasta indietro, la tradizione,
ogni cosa omessa.
Noi siamo le mani alzate nel confine incatenato
siamo noi quell’aria che si muove sui monti!
Se tu fossi nella mia testa capiresti la prua
di ogni traversata, la memoria dei luoghi,
se tu fossi nella mia testa non moriresti mai.
(da Prima di andare, La Vita Felice, 2016)
Sulla scia dei nuovi lirici, l’interlocutore della poesia di Rita Pacilio è il mondo. Detto così può sembrare anche riduttivo, o meglio, genericamente inconcludente il modo con cui si approcci alla sua poesia. Allora diciamo che il suo mondo non è quello autobiografico dei suoi sodali; nel suo mondo hanno un posto privilegiato, l’uomo, la natura, il tempo.
La poesia di Pacilio, attraverso tematiche sociali, psicologiche e spirituali, s’interroga, con una parola essenziale e semplice, ma armoniosa e musicale; s’interroga persino sulla morte, disposta allo stupore, alla meraviglia.
C’è dunque l’uomo, l’umanità, gli ultimi, i sofferenti, la compassione, l’amore e la ricerca di Dio in tutte le cose nella poesia di Rita Pacilio; emersioni di fragilità e incomprensioni attraverso una vita di sofferenze che trova la forza di esistere nell’affidamento alla natura, più precisamente alla memoria, in un tempo che scorre inesorabile, rendendoci vulnerabili ma anche affascinati dai cambiamenti, dove però i ricordi si affidano altresì all’amore ma con coscienza, alla narrazione di una vita legata agli affetti più intimi, all’universalità dei sentimenti e della speranza di una vita migliore.
Il testo più rappresentativo della sua poetica, visionario e intimo allo stesso tempo, è Gli imperfetti sono gente bizzarra (che dà il titolo anche ad un volume, citato più giù). Ce lo dice la stessa Pacilio: «In questo […] lavoro poetico Gli imperfetti sono gente bizzarra, prendendo per mano il lettore, cammino negli ospedali psichiatrici. Attraverso e mi lascio attraversare come sociologo, ma soprattutto come persona, dalle varie patologie degli esseri umani che vivono una condizione di alienazione, marginalità, sofferenza. Ho visitato la realtà dei “diversi” tenendo conto della loro normalità quotidiana, del loro essere bizzarri tra le proprie cose sapendo che ai nostri occhi quel mondo è solamente da compatire. Ho voluto restituire dignità a chi è totalmente dipendente da medici, infermieri e da tutti coloro che se ne prendono cura. In questo libro ho un passo maturo, deciso e consapevole: l’ho meditato, studiato, conosciuto facendo un percorso obbligato che mi ha vista partecipe, in prima persona, del disagio di chi ha una malattia mentale».
E allora citiamone una di queste poesie:
Sputa i suoi drammi
coi colpi di tosse
per gioco, per amore
scorie sottili nelle mani esibite
è latente lo scontento sulle spalle.
Gli imperfetti sono gente bizzarra
lasciati nell’arena, non so dire esattamente,
come un silenzio, un ghigno.
Ho pensato che Dio ama l’insicurezza
e le sfumature dei dirupi.
Io mi trovo qui dove non si torna indietro.
Rita Pacilio è nata nel 1963 a Benevento e vive nel Sannio. Si è formata presso l’Università degli Studi di Napoli conseguendo la laurea in Sociologia (indirizzo socio-psicologico) e la specializzazione in Mediazione familiare e dei conflitti interpersonali. Si dedica alla poesia, alla narrativa, alla letteratura per l’infanzia, alla saggistica e alla musica. Direttrice del marchio editoriale RPlibri, è Presidente dell’Associazione “Arte e Saperi”; ideatrice e direttrice artistica di Festival dedicati alla poesia tra cui il “Festival della poesia nella cortesia a San Giorgio del Sannio” (dal 2009 al 2019). Con Giuseppe Vetromile cura il “Festival della poesia lungo la via… un altro modo di dire poesia”. Per la poesia ha pubblicato: Luna stelle… e altri pezzi di cielo (E.S.I., 2003); Ciliegio forestiero (LietoColle, 2006); Tra sbarre di tulipani (id., 2008); Alle lumache di aprile (id., 2010); Di ala in ala, con Claudio Moica (id., 2011); Gli imperfetti sono gente bizzarra (La Vita Felice, 2012, vincitore di numerosi premi); Quel grido raggrumato (id., 2014); Il suono per obbedienza, poesie sul jazz (Marco Saya Edizioni, 2015); Prima di andare (La Vita Felice, 2016); La venatura della viola (Ladolfi, 2019); Quasi madre (Italic Pequod, 2022); Di ala in ala, con Claudio Moica (RPlibri, 2022 – seconda edizione).
La Pacilio ha le idee chiare su come intende rapportarsi con la sua poesia. L’ha dichiarato in una recente intervista rilasciata a chi scrive (ora pubblicata nel volume Poeti in Campania. Ventisette interviste, Bertoni Editore, 2022): «… è una disponibilità allo stupore, una continua sperimentazione della bellezza e della condivisione della vita e della morte attraverso la ricerca di un linguaggio autentico, alto e potente, raffinato e personale. La poesia è un atto maturo e responsabile di continua esplorazione del mondo e di verifica delle proprie tensioni verso altri. Per me la poesia è sempre stato un luogo di esperienze, di elaborazioni e modificazioni che partono da un movimento di fede e di speranza». (p. 136)
Nonostante la struttura poematica della Pacilio rasenti in più percorsi la prosa, ci troviamo di fronte ad una poesia che s’inoltra nella vita e nei suoi meandri mettendosi in gioco, accettando le sfide anche da un punto di vista strutturale del linguaggio, fino a sacrificarsi per cercare altre strade, ripristinando il senso civico dell’esistenza. E anche in questo è evidenziata una certa anomalia rispetto al canone dei nuovi lirici.
La memoria è la testimone dei tempi, conoscenza del passato che ci permette di vivere l’odierno con più consapevolezza ˗ almeno così dovrebbe essere ˗ in quanto ˗ come ci dice Cicerone nel De Oratore, «La memoria è tesoro e custode di tutte le cose». E Rita Pacilio lo sa bene, come tutti i neo-lirici cui ella appartiene ˗ sia chiaro, neo-lirici non è un’offesa, non è una brutta parola ˗. D’altronde nella poesia lirica ˗ e non solo ˗ la memoria, che accosta diversi spazi temporali alla realtà, come in Ungaretti di Sereno «che oppone la transitorietà dell’uomo all’immortalità dell’Universo», guarda al futuro (come in Pacilio), desideroso di conoscerlo.
E la memoria non ha solo una dimensione personale; e dunque con essa la poesia di Pacilio riesce anche a distaccarsi dalla liricità, in quanto ˗ essa, la memoria, il ricordo ˗ non è soltanto rievocazione del passato, come nella migliore tradizione della poesia lirica. E a differenza di due capisaldi della lirica italiana, Leopardi e Montale, il ricordo, la memoria insomma, non addolciscono gli aspetti più dolorosi della vita, ma rafforzano la consapevolezza che l’esistenza va vissuta e affrontata con tutti i suoi dolori; e per il poeta ˗ come nel caso di Pacilio ˗ è «lavorare sul linguaggio per ricercare le parole adeguate al fine di arricchire […] la visione di metafore e forme poliedriche del sentimento per eccellenza […, con] più vite e presenze che si intrecciano a momenti quotidiani» (ibid.).