Il viaggio nella musica, della nostra rubrica MelaMarcia, attraverso il mondo delle band musicali emergenti continua con l’intervista al musicista Giuliano Falcone membro del gruppo musicale dei Foja
Come nasce la tua passione per la musica? La mia passione per la musica nasce da quando ho cominciato a dare colpi nella pancia di mia madre. Credo sia innata, nel senso che da sempre ho preferito la musica ad altre forme d’arte. Ascoltavo i dischi di mio padre e di tutta la famiglia, che ha sempre messo la musica al centro delle passioni e del tempo libero, tanto da invogliarmi a prendere lezioni di pianoforte dall’età di 5 anni. L’illuminazione è arrivata grazie ad un regalo di mio nonno: la mitica bontempi system 5. Quanto ha influito l’incontro con i musicisti che poi hanno con te formato il gruppo Foja? Facevo parte di un altro gruppo e insieme ai Foja formammo una community di band emergenti per aiutarci a vicenda nella ricerca di serate ed eventi. I Foja avevano all’epoca un’altra formazione, che vedeva, degli attuali componenti, solo Dario Sansone e Gianni Schiattarella. Nel frattempo l’allora bassista lasciò il gruppo avvenne l’incontro “artistico” con loro, che mi scelsero come nuovo componente del gruppo. Dì li a poco sarebbe venuto il turno di Ennio Frongillo, a completare l’attuale formazione. L’incontro con i ragazzi ha cambiato totalmente il mio modo di suonare. Se prima prediligevo linee di basso presenti e articolate, attualmente mi schiero dalla parte di chi dice che il basso in un gruppo come il nostro, debba “sostenere” piuttosto che “farsi notare”. La semplicità e la linearità con la quale affrontiamo gli arrangiamenti dei pezzi, sono le stesse che di premessa uso io per le linee di basso. Per i giovani quanto è difficile affermarsi oggi nel panorama musicale italiano? Difficile è un aggettivo che sminuisce il muro che si erge a ostacolo verso un’eventuale affermazione all’interno del panorama musicale italiano. Purtroppo il mainstream predilige format e modalità di accesso al circuito, che sono lontanissimi dal sudore e la fatica che le garage band, come noi, ci mettono nel produrre musica e spingerla il più possibile. Ma forse per noi è un vantaggio. Tutto ciò ha permesso di inserirci nel mercato indie, che è di gran lunga più rispettoso delle vere esigenze degli artisti e della loro voglia di scrivere e produrre la musica che vogliono. In questo senso siamo stati fortunati e tenaci nell’allacciare rapporti umani prima che professionali con le persone che lavorano con noi. Noi la chiamiamo “alchimia” e ci auguriamo che sia la premessa a qualsiasi lavoro futuro. Quali sono gli artisti italiani a cui ti ispiri? Personalmente ascolto tutta la musica. Non ho preferenze. Ovviamente la matrice rock ha sempre contraddistinto i miei ascolti. Gruppi come Nirvana, Pearl Jam, Rage Against The Machine, Tool mi hanno formato in gioventù. Non disdegno affatto la musica pop, fatta in un certo modo; penso ai N.E.R.D. La canzone napoletana, e i cantautori italiani e nordamericani sono entrati in un secondo momento nei miei ascolti quotidiani e artisti quali Renato Carosone, Sergio Bruni, Roberto Murolo li reputo all’altezza se non superiori a tanti altri artisti internazionali. La musica elettronica la metto in cima: Daft Punk, Nine inch Nails, Justice, Boys Noize, the Chemical Brothers, Phoenix. Qualche anticipazione sui tuoi futuri progetti? Il mio progetto principale è quello di rimanere a Napoli. Nonostante tutto solo Napoli sa darmi emozioni vere.