Le disparità tra i Paesi della sponda settentrionale e quelli della sponda sud-orientale del Mediterraneo e i divari sociali nei singoli Paesi sono i temi al centro del Rapporto sulle economie del Mediterraneo 2018 curato dall’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Issm) che sarà presentato il prossimo 25 febbraio a Napoli, presso l’Università degli Studi Parthenope (Villa Doria d’Angri- via Petrarca 80).
All’evento, che si svolgerà nell’ambito del Workshop ‘Ambiente, clima e prospettive di sviluppo nel Mediterraneo’, prenderanno parte il ministro dell’Ambiente, della tutela del territorio e del mare Sergio Costa, il direttore generale del Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo Riccardo Rigillo e il presidente del Cnr Massimo Inguscio.
Mediterraneo: il quadro geopolitico internazionale
“Il quadro geopolitico internazionale molto fluido, i rapporti tra i diversi attori internazionali e regionali, l’elevata instabilità e conflittualità della regione sono tra i fattori alla base di molti fenomeni analizzati nel Rapporto”, spiega Salvatore Capasso, direttore Cnr-Issm. “Tra questi, il cosiddetto ‘eccezionalismo arabo’, cioè l’apparente inconciliabilità tra governance democratica e sviluppo economico nei Paesi meridionali e orientali del bacino, dove permangono forti differenze nella distribuzione delle risorse che ostacolano una crescita inclusiva, pur in un contesto di attenuazione delle divergenze di reddito e di crescita tra Paesi a nord e a sud del Mediterraneo”.
Il Rapporto, edito da il Mulino e giunto quest’anno alla XIV edizione, analizza aspetti diversi che vanno dalla governance istituzionale, allo sviluppo economico fino alla gestione del fenomeno migratorio e alle fondate ipotesi di complementarietà e prospettive di integrazione tra due sponde del bacino. “Nei Paesi mediterranei del Sud la quota di popolazione sotto la soglia minima di povertà (1$ al giorno) è bassa, ma aumenta drasticamente se si assume la soglia di 2$ al giorno. Una gran parte della popolazione è quindi soggetta al minimo shock negativo, per esempio quando i prezzi del cibo o del carburante aumentano”, prosegue Anna Maria Ferragina, ricercatrice associata Cnr-Issm e autrice del Rapporto.
“Sono inoltre tipiche di quest’area le dicotomie fra aree urbane e rurali, l’inaccessibilità di alcune aree, la densità costiera, che creano una forte competizione in attività come turismo, agricoltura o pesca. Nei Paesi del Nord Africa il 90% degli abitanti vive in meno del 10% della superficie disponibile e quasi il 40% della popolazione (oltre 110 milioni di individui) vive entro 50 chilometri dalla costa, con enormi implicazioni in termini di urbanizzazione e vulnerabilità ai possibili impatti del cambiamento climatico. Il dato si riflette indirettamente nelle notevoli disparità di mortalità neonatale fra province dei vari Paesi: in Egitto le diseguaglianze maggiori, dal 21 al 64 per mille, segue il Marocco (dal 28 al 65 per mille). Esistono inoltre profonde differenze nell’accesso all’istruzione legate ai divari di reddito: la differenza percentuale di giovani che abbandona la scuola, tra il quinto della popolazione con massimo e minimo reddito, è di 28 punti in Egitto, 25 in Giordania, 35 in Siria, 51 in Turchia, 59 in Marocco”.
Mediterraneo: i motivi del divario
La pressione demografica secondo gli autori spiega solo in parte le ragioni delle migrazioni all’interno del bacino che, come emerge da diversi capitoli del Rapporto, sono dovute a una serie composita di elementi: struttura dell’economia, distribuzione della ricchezza, sviluppo delle tipologie professionali. In merito alla gestione del fenomeno migratorio nei Paesi nord-mediterranei, il Rapporto sottolinea gli aspetti positivi della gestione congiunta dei flussi tra Paesi di partenza e di arrivo con gli accordi bilaterali. “Il divario tra le due sponde in termini di reddito si è ridotto e la quota ‘intercettata’ dai Paesi del Mediterraneo sud-orientale, grazie anche al flusso di Investimenti diretti esteri (Ide), è passata dal 10,1% del 1996 al 21,2% del 2016, mentre è parallelamente scesa la quota degli Ide in entrata nei Paesi nord-mediterranei”, aggiunge Capasso. “Tale flusso ha favorito una maggiore integrazione tra i sistemi produttivi delle due sponde e la crescita dell’export dei Paesi meridionali, il cui contributo al commercio mondiale è passato dall’1,5% al 2,5% nel corso dell’ultimo ventennio, nel corso del quale quello dei Paesi nord-mediterranei è sceso dal 13,1% al 9%”.
Tema centrale per il futuro delle società del Mediterraneo è l’ambiente e gli effetti di medio-lungo periodo del cambiamento climatico. Se l’intera area risulta esposta a forti rischi, al suo interno sono i Paesi della sponda sud-orientale a presentare i più elevati indici di vulnerabilità, oltre che minori capacità di risposta a causa di più bassi livelli di sviluppo economico. “Lo studio delle società del Mediterraneo richiede un approccio multidisciplinare, per la complessità dell’oggetto di analisi e per gli effetti che i diversi fattori analizzati all’interno del Rapporto hanno su di esse: geopolitica internazionale, governance locale, demografia ed economia. Un approccio che è quello tradizionalmente adottato dal nostro istituto di ricerca”, conclude il direttore del Cnr-Issm.