Lo abbiamo chiamato sempre “mare nostrum”, questo Mediterraneo che lambisce i tanti chilometri delle nostre coste, che è stato protagonista della nostra storia, fondatore di miti e leggente, narratore di storie, il mare della Magna Grecia, dell’Impero romano, dei viaggi di eroi come Ulisse e Enea, delle Repubbliche marinare, luogo di viaggi, scoperte, conquiste, scambi di esperienze e culture, il mare che ha attirato da sempre la furia degli invasori, che ci ha messo in contatto con gli Arabi, con i Normanni, con i “liberatori” americani sbarcati ad Anzio, il mare dell’imbarco dei nostri emigranti verso le terre della speranza, per sfuggire alla miseria, alla dittatura, alla guerra, il mare del benessere, dei suggestivi paesi e delle città d’arte distese sulla costa, dei porti, delle tonnare, delle barche da pesca e delle navi da crociera, il mare delle nostre vacanze, le spiagge assolate, castelli di sabbia, ombrelloni, barche a vela.
Oggi il Mediterraneo è divenuto un mare amaro, un grande cimitero che ci rende sempre più difficile percepirne le tante varianti della storia, perché questo Mediterraneo si impone continuamente al nostro sguardo coinvolto o indifferente, impaurito o solidale, come uno spettacolo del dolore, della disperazione, della morte. Le tante migrazioni di cui è stato teatro e che da sempre ne hanno rappresentato la straordinaria ricchezza, il proficuo incontro di genti, lingue, conoscenze, progetti, tutto sembra dimenticato di fronte a questa valanga umana che sbarca quotidianamente sulle nostre rive e di cui non riusciamo spesso a percepire il dramma, i bisogni, le necessità che l’ hanno spinta, come accadde anche a noi italiani, ad abbandonare la propria terra, a rischio della sua stessa vita.
Spesso i pregiudizi, la disinformazione sul fenomeno, voluta e pilotata, la paura di perdere una presunta “purezza” identitaria che non abbiamo mai avuto, perché siamo ibridi di migliaia di innesti che un minimo di conoscenze storiche metterebbe in risalto con evidenza, l’insicurezza verso il futuro determinata nel nostro corpo sociale da ben altre forze che quelle migratorie, ci paralizzano di fronte a questa tragedia che dovrebbe ricordarci solo l’appartenenza di tutti al genere umano.
L’Italia, nella sua storia di Stato Unitario, ha visto il fenomeno immigratorio diventare significativo intorno agli anni settanta del secolo passato e in questo secolo trasformarsi in un problema impossibile da ignorare. Il nostro paese è stato soprattutto un luogo di emigrazione, tra il 1876 e il 1976 più di 24 milioni di persone hanno lasciato i confini patrii. Il fenomeno dell’emigrazione cominciò a declinare decisamente solo a partire dagli anni sessanta, dopo il cosiddetto miracolo economico.
Oggi a sbarcare sulle coste italiane, attraversando irregolarmente i confini marittimi, sono sia rifugiati, sia migranti economici. La loro condizione di irregolari nasce soprattutto dalla mancanza di un piano europeo di accoglienza, di corridoi umanitari che permettano l’entrata regolare nel nostro paese. Le leggi italiane ed europee infatti non prevedono vie di ingresso regolari per coloro che intendono presentare richiesta di asilo, così i richiedenti asilo arrivano per lo più in maniera irregolare, attraverso gli sbarchi sulle coste italiane. Ma l’Europa ci lascia soli ad affrontare un’emergenza che ha comunque proporzioni inferiori a quella che viene esibita come una travolgente invasione e soprattutto che, se ben gestita, manterrebbe sotto controllo le conseguenze negative che si sogliono attribuire al fenomeno.
Queste barche traghettate da moderni Caronte che spesso naufragano a un passo dalle nostre coste, questi uomini, donne, bambini, stremati da un viaggio tragico che hanno profumatamente pagato ad avvoltoi senza scupoli, non avrebbero ragione di esistere se si facilitasse loro l’entrata nel nostro paese. Chiedere loro di non tentarlo, ignorare le loro ragioni, rimandarli indietro, significa non conoscere la realtà da cui fuggono o, peggio ancora, negare loro il diritto alla speranza e alla vita, in nome di calcoli “economici” spesso anche sbagliati.
La condizione di questi emigranti è molto peggio di quella che fu la nostra. Noi viaggiavamo in terza classe su navi solide, anche se in modo scomodo, , ma noi non venivamo buttati a mare come loro, perché in quanto clandestini rappresentano un atto d’accusa verso i trafficanti umani, noi avevamo regolari biglietti in tasca, entravamo legalmente nei paesi che riconoscevano il fondamentale valore della forza lavoro immigrante per il loro benessere economico.
Un esperto della materia, Enrico Pugliese, Professore ordinario di Sociologia del Lavoro all’Università degli Studi di Roma la Sapienza, autore di numerosi saggi sul funzionamento del mercato del lavoro e i flussi migratori, tra cui L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni interne (Il Mulino, 2007) ci dice che “L’Italia infatti è divenuta negli ultimi decenni un paese di immigrazione, anzi un importante paese di immigrazione, mentre ha continuato a essere un paese di emigrazione, un importante paese di emigrazione. […] E ciò non solo perché ci sono all’estero ancora consistenti comunità di italiani i quali si identificano come emigrati, ma esistono tuttora importanti flussi migratori tra l’Italia e altri paesi, soprattutto europei. Insomma l’Italia è un crocevia migratorio dove lavoratori stranieri affluiscono e sempre più consolidano la loro presenza con i ricongiungimenti familiari mentre cittadini italiani, frequentemente giovani, lasciano l’Italia verso altri paesi soprattutto europei”.
Afferma inoltre che l’apporto del lavoro degli immigrati al benessere socio-economico del nostro paese è facilmente dimostrabile, con dati inconfutabili per chi voglia formarsi un’ opinione su basi oggettive e non su spesso istigati pregiudizi. Così come il lavoro degli emigrati italiani lo fu per i paesi che li ricevettero. Persino Istituzioni non certo passibili di “buonismo” come la Banca d’Italia ne sottolineano il contributo significativo alla nostra economia. Quanto al loro contributo sociale, basti pensare, come esempio, alle tante “badanti” che vivono nelle nostre case e senza il cui lavoro di accudimento dei nostri anziani, sarebbe impossibile per molti di noi, specie donne, svolgere un’attività lavorativa che tanto contribuisce al benessere economico delle nostre famiglie. Ovvio che questo viene a coprire le carenze del sistema italiano in questo campo.
Un altro radicato pregiudizio, privo di fondamento, è quello che riguarda il presunto aumento di crimini in conseguenza dei processi migratori. A parte la criminalità organizzata, mafia, camorra, etc, che nel nostro paese produce la maggioranza dei delitti, la percentuale di incidenza straniera è minima rispetto a quella dei cittadini italiani che se ne macchiano, come chiunque può accertare con l’analisi dei dati ufficiali sul problema.
Gli immigranti inoltre, come sempre nella storia, rappresentano elementi di diversità culturale che arricchiscono la società che li ospita. Non temiamo quelli che consideriamo “i barbari”, proprio noi, popoli mediterranei che, come la storia ci insegna, siamo figli diretti del connubio tra Romani e Barbari, inestricabili intrecci di numerosi popoli, dai quali è sorta quella civiltà e cultura per cui siamo famosi nel mondo.