Nel titolo dello spettacolo il genitivo latino del nome (Medea, ae), ossia “di Medea” : un intenso e delicato susseguirsi, legato da un filo di sangue, di quanto la letteratura di ogni tempo abbia dedicato a Medea.
È il viaggio di Medea, la visione “globale” del ruolo che questo personaggio ha avuto nel corso dei secoli. Euripide ha giocato sicuramente un ruolo decisivo. Infatti, fa da spartiacque tra due modi diversi di interpretare questa figura. L’elemento centrale della leggenda di Medea, o meglio quello che era divenuto centrale dopo Euripide, l’infanticidio, era stata un’innovazione del tragediografo ateniese rispetto alla tradizione precedente. Dopo il 431 a.C., la rappresentazione euripidea ha esercitato il suo influsso sulle letterature successive.
Euripide, Seneca, Grillparzer, Anouilh, Alvaro, Pasolini, fino a Christa Wolf, sono compagni di questo viaggio teatrale verso Medea, per portare tutto quello che “di Medea” abbiamo imparato nei secoli.
Tutti gli autori di Medea sono stati di supporto al riadattamento del testo che va in scena leggero, lineare, moderno nell’essenza e nella messa in scena. Parte del prologo, scritto di getto, in un sol fiato, pensando a quanto di Medea vi sia in ogni donna attrice e spettatrice:
”Io, Medea. E’ l’ultimo sguardo. Attraverso l’ultima stanza di questo palazzo che mi vide padrona, madre, tradita. Ora, la libertà! La libertà è l’esilio e la condanna a una missione suprema… Condanna di luce per l’eternità, per chi mi incontrerà. La luce di una scoperta. Scoperta e valore di una dignità. Esilio. Esilio. Esilio, si! Per ogni donna il racconto, la storia, il viaggio… Il meraviglioso sacrificio di un viaggio… Il mio castello, da ora in poi, è il mondo! Ed è affanno, è verità… E’ sofferenza di libertà… Ricomincia il gioco del dolore…”.(Sarah Falanga)
La scena è un ring entro il quale il pubblico è avvolto. Persa la dimensione abituale, rompendo la “quarta parete”, lo spettatore è al centro della vicenda , proprio come succede nell’animo di Medea, costretta da tutta l’eternità a rivivere il suo dramma ogni volta che il teatro lo chiede, o meglio ogni volta che il “dovere di catarsi” richiama l’essenza di un personaggio teatrale.
In scena sette Medee, che rivivono il tormento dell’uccisione come estrema ratio, fino a giungere all’epilogo che chiude il cerchio, che presagisce un nuovo inizio…il ritmo ininterrotto di un’esperienza che da secoli il personaggio è votato a donare al pubblico e dal quale non può esimersi (destino dal quale non può prescindere ed in questo ciclo v’è l’eterno tormento ,dal quale per sua stessa natura non può liberarsi nonostante l’estrema sofferenza di ogni spettacolo) .
“La donna, infatti, è piena di paura, vile di fronte alla forza; ma quando viene offesa nel suo letto non c’è altra mente che sia più sanguinaria. Donne di Corinto, vi parlo perché non abbiate nulla da rimproverarmi. Eccomi qua, questa l’ultima stanza del Palazzo? Ma no…se il mio palazzo è il mondo…questa non è che la continuazione di un viaggio…e ci sarà una nuova stanza, ed un’altra ancora…dove incontrare altri sguardi. Il mio viaggio nelle coscienze dell’eternità…Medea!”