A cento anni dalla nascita dell’artista sarda Maria Lai (nata a Ulassai in Sardegna, nella regione barbaricina dell’Ogliastra, nel 1919 – morta a Cardedu nel 2013), una serie di mostre e riconoscimenti esaltano la sua arte.
Maria Lai: tessere il mondo
Nel 2017 la Biennale di Venezia ha esposto alcune delle sue opere più significative.
In occasione del centenario della nascita, il MAXXI di Roma le ha dedicato una grande mostra, riconoscendola come una delle voci piuÌ€ originali dell’arte italiana contemporanea, soprattutto in anticipo sui tempi nelle ultime ricerche dell’arte relazionale. Il titolo della mostra, Tenendo per mano il sole, si rifa alla prima fiaba cucita realizzata dall’artista nel 1983. Sono stati esposti oltre 100 lavori, dai primi anni Sessanta alle ultime opere -percorso che ne mostra l’ecletticità – tra queste i suoi famosi libri cuciti, sculture e i suoi celebri telai, che ci raccontano quanto si sia estesa la libertà creativa di Maria Lai, lavorando con tecniche e materiali diversificati, con l’ardire di percorrere itinerari sconosciuti e di lanciare sfide estetiche di grande potenza visiva e di complessi significati.
In questo centenario le sono dedicate molte iniziative, una particolarmente significativa nella sua isola,. la mostra organizzata dal Museo Stazione dell’Arte a Ulassai, fortemente voluto dall’artista e fondato all’interno di una ex stazione restaurata, vi troviamo una grande parte delle sue opere, da lei stessa donate. Ultimamente sotto il controllo del Direttore del Museo Davide Mariani si è scelto di adeguare le sale espositive ai canoni estetici adottati dai musei di arte contemporanea, eliminando tutti gli elementi di contrasto che impedivano di valorizzare pienamente le opere esposte.
Figlia di Giuseppe e Sofia Mereu, Maria Lai, seconda di cinque figli, ha nell’infanzia una salute piuttosto cagionevole, il che la porta ad essere trasferita per i mesi invernali dal paese di Ulassai alla pianura di Gairo, ospitata da zii contadini senza figli.
Nei mesi invernali non frequenta le scuole materne ed elementari; in completo isolamento scopre in sé l’attitudine per il disegno. Nel 1933 muore Cornelia, la sorellina minore, e Maria posa come modella del famoso scultore sardo, Francesco Ciusa. In questa occasione entra per la prima volta nella bottega di un artista e l’atmosfera che vi regna la colpisce e affascina. La famiglia decide di iscriverla alle scuole secondarie a Cagliari, dove il suo maestro d’italiano Salvatore Cambosu per primo ne scopre la sensibilità artistica. Nel 1939, decide di iscriversi al Liceo Artistico di Roma. Completati gli studi al liceo, partirà alla volta di Verona e, appena dopo, di Venezia, poiché la seconda guerra mondiale impedisce il suo ritorno in Sardegna.
A Venezia s’iscrive all’Accademia di Belle Arti, dove frequenta un corso di scultura. Nell’ambiente accademico veneziano incontra diverse difficoltà, infatti le donne non sono ben accette nel mondo dell’arte, se non come modelle. Nel 1945 decide di tornare in Sardegna dove resta fino al 1954, anno in cui si trasferisce a Roma in uno stato di grande tristezza , a causa dell’assassinio del fratello minore Lorenzo. Nel 1957, presso la galleria L’Obelisco, tiene la sua prima personale con i disegni a matita dal 1941 al 1954; nel frattempo apre un piccolo studio d’arte, ma poi improvvisamente decide di ritirarsi dal mondo dell’arte e ne resta lontana per circa 10 anni, durante i quali si avvicina al mondo dei poeti e degli scrittori. Tra questi coltiva un rapporto di amicizia e di collaborazione con lo scrittore Giuseppe Dessì, suo vicino di casa a Roma.
Attraverso di lui, riscopre il valore dei miti e delle leggende della sua terra, legge con passione i suoi libri, e comprende sempre più quanto sia fondamentale e privilegiata la sua origine sarda. Comincia a cercare nel passato la possibilità di scrivere il futuro, aspira al contatto con la materia: il telaio e la magia delle sue creazioni, il pane nella sua consistenza e nel suo profumo, i numerosi oggetti di un passato arcaico che le suggeriscono prospettive per l’avvenire. Nel frattempo osserva le emergenti correnti artistiche contemporanee, come l’Arte Povera e l’Informale.
Interprete sensibile e attenta al suo territorio, quell’isola sempre amata e indagata nella profondità del suo linguaggio paesaggistico e umano e nella sua storia aspra e nobile, Maria Lai da subito porta la sua ricerca estetica nell’ambito di un’etica che cerca voci per la sua gente, relazioni da istituire tra i luoghi e i corpi, tra i corpi e le storie, tra le storie e le anime. Il suo linguaggio interpreta in apparenza una società isolata e chiusa ma la coniuga con codici globali, con istanze nuovissime dell’arte contemporanea. Maria Lai è prefica, narratrice, jana, anima che raccoglie le antiche tradizioni come l’arte femminile del tessere e tesse paesaggi con linguaggi, chiama la sua gente a partecipare in prima persona ai progetti di questo legame che la sua arte plastica va istituendo col territorio. Maria cerca i fili, quelli di un tessere che fanno trama e intreccio, che hanno saputo raccontare col cotone, la lana, la seta, i misteri della terra, i riti, gli eventi, le favole, le azioni di donne e uomini nel loro stare al mondo.
L’artista nell’intrecciare fili, nel cucire libri e tessuti costruisce costantemente relazioni tra le persone nella seducente magia delle sue mani antiche e modernissime. Maria Lai sin dagli anni ‘60 utilizza il filo come strumento privilegiato del suo operare, come rappresentazione fisica del dialogo, della narrazione, della memoria, dell’itinerario dall’oralità alla scrittura. Comincia a registrare i legami degli abitanti con la loro terra attraverso sculture, libri, mappe, oggetti nei quali cuce, letteralmente con l’ago, tanti fili a immagine delle persone che compongono il tessuto sociale, costruisce libri e mappe che registrano i passi, gli incontri, le relazioni che gli abitanti del paese tessono tra loro, come si intrecciano, si uniscono, si separano nello stesso paesaggio in cui vivono ma sempre, nonostante le rotture, indissolubilmente legati gli uni agli altri.
Gli anni ‘70 sono anni di sperimentazione, dove l’approccio a nuovi linguaggi e la tradizione del tessere, a cui nei secoli le donne hanno prestato fantasia, precisione, volontà di bellezza e lavoro, duro a volte, fino a far sanguinare le mani, trovano il loro trionfante ossimoro. Maria tributa il suo omaggio a questa storia silenziosa e segreta di creatività femmminile.
Il 1971 è per lei un anno triste e al contempo estremamente fecondo di attività: triste perché nel settembre muore in un incidente aereo l’unico fratello rimasto, Gianni; mentre a livello artistico, presso la Galleria Schneider di Roma, espone i primi Telai, un ciclo che caratterizza tutti i dieci anni successivi
La sua prima opera antesignana dell’arte relazionale in Italia si chiama Legarsi alla montagna. Consiste in una performance, messa in atto nel territorio di Ulassai nel 1981, che ha coinvolto l’intera popolazione del paese che per tre giorni, sotto la guida dell’artista, ha fisicamente legato le porte delle case e le vie tra loro con chilometri di nastri di stoffa. Maria chiede agli abitanti di Ulassai che ricreino un’ antica leggenda sarda che racconta di una bambina salita sulla montagna con una bisaccia di pane da portare ai pastori; li trova rifugiati in una grotta con il loro bestiame per ripararsi da un temporale scoppiato improvvisamente. La bambina dall’interno della grotta vede fuori un nastro celeste trasportato dal vento. Nonostante i consigli dei pastori di restare al riparo, corre fuori inseguendo il nastro e in quel momento la grotta crolla seppellendo uomini e animali. Solo la bimba si salva per aver seguito quella scia azzurra. “E allora – dirà Maria Lai – forse quel nastro azzurro può salvare anche noi”.
Da questa antica leggenda tramandata dai pastori del suo paese, Maria Lai prende ispirazione per realizzare un’opera d’arte davvero spettacolare. Con ventisette chilometri di nastro azzurro, che gli abitanti del paese confezionano e uniscono, si legano le case tra loro, prima che, con l’aiuto di alpinisti, si aggiri la montagna e la si unisca al paese. Quel nastro che serviva tradizionalmente per tessere e decorare diventa una voce, un’emozione, un desiderio che esprime e rende tangibili le relazioni tra gli abitanti del paese, calandoli in un’esperienza corale che si definisce non solo per il suo valore estetico ma anche antropologico. L’opera, fragile e evanescente, della quale gli abitanti furono tanto attori che spettatori, durò il tempo dell’esperienza, lasciando come ricordo una bellissima serie di foto in bianco e nero attraversate da una scia azzurra e un’ incaccellabile memoria emozionale nei suoi partecipanti.
Maria Lai ha fatto del legare, del tessere, del cucire, lavori femminili della tradizione sarda, gli aspetti identificativi della sua attività artistica.
Il complesso delle opere dell’artista sarda ce ne mostra la poliedricità, le sue tematiche che confrontano microcosmo e macrocosmo, che lavorano sul piccolo e sul grande, dal minuscolo libro al macro intervento ambientale che produce partecipazione attiva. Le opere di Maria hanno sempre un forte impatto visivo e una concretezza che spiazza e sorprende e il suo bisogno di coinvolgere gli altri nel processo creativo dà ai suoi lavori una dimensione anche didattica, come possiamo verificare facilmente nella sua opera più enciclopedica I luoghi dell’arte a portata di mano (Edizioni Arte Duchamp, 2002), il cui scopo è quello di spingerci alla riflessione sul “fare arte”, sul saperla leggere e definire.
Negli anni novanta le sue opere ne reinterpretano il percorso complessivo e le varie tappe si fondono in una armoniosa unità. In questo contesto storico il suo lavoro sarà molto apprezzato anche a livello internazionale.
Dopo le recenti esposizioni negli Stati Uniti e in altre prestigiose manifestazioni europee, a Maria Lai è stato dato il posto che le è dovuto tra gli artisti più significativi dell’arte contemporanea.