A Pomigliano Marchionne non solo vince ma stravince e distrugge gli avversari estromessi dalla ‘democrazia aziendale’ col plauso di ministri ed esponenti storici della sinistra italiana. Tutti contenti? Non Proprio
Tutti i sindacati, tranne la FIOM, hanno firmato il nuovo accordo per il contratto a Pomigliano; a seguire lo stesso iter si applicherà  anche a Mirafiori e allora il piano di rilancio di Marchionne sarà completo. Fabbrica Italia, la new co. che risorge dalle ceneri di quella che fu la vecchia FIAT a Mirafiori e l’ALFA di Pomigliano nasce autarchica e autodeterminata; cioè fuori dalle regole attuali e, anzi, senza regole precise se non quelle dettate dalla ‘produttività ‘ e dal profitto. Naturlamente, tutti addosso alla FIOM tacciata di essere anacronistica, conservatrice, fautrice dell’assenteismo (causa di tutti i mali della FIAT…), poco lungimirante e oppositrice dello sviluppo e della ripresa non solo della fabbrica ma di tutto il sistema economico italiano. I primi ad attaccare il sindacato non sono i ‘liberali’, gli indistriali, o esponenti del governo pronubo il quale si è potuto arrivare a questo accordo, ma i rappresentanti-più-rappresentativi (non è un errore di battitura ndr) del Partito Democratico: Massimo D’alema e Piero Fassino! Il primo con il suo argomentare dotto e pragmatico (?!) ha detto che l’accordo è cosa buona e giusta per i lavoratori – si sa lui non è abituato a dire “cose di sinistra” da un bel pezzo-. Il secondo, in pieno delirio elettorale derivante dalla corsa alle primarie per la poltrona di sindaco di Torino, si è subito affrettato a dire che quel tipo di accordo è una manna dal cielo per Mirafiori quando sarà applicato e che siamo di fronte a una svolta epocale che “certi sindacati e sindacalisti” farebbero bene ad adeguarsi in fretta. Da entrambi si deduce che la cosa primaria è il consenso; tutto piuttosto che perdere consenso. Loro, proprio loro che hanno demolito il patrimonio ideale e culturale della sinistra italiana; quelli del costante ‘spostamento al centro’ perchè i tempi cambiano – e poi in fabbrica ci si è chiesti allibiti come mai gli operai votassero per la lega-; sempre loro che hanno interpetrato più di tutti in maniera individiale e personale il cammino sociale e politico della sinistra italiana ora tacciano di ‘egoismo’ e miopia la FIOM e il suo segretario Landini. All’invito di quest’ultimo ad “andare in fabbrica a lavorare” prima di parlare la risposta piccata del Presidente del COPASIR è stata un epigono di acume ed intelligenza comunicativa e politica: “Landini stia zitto che nemmeno lui ci va in fabbrica”. Domanda: ma se Landini non ci va, D’Alema non ci pensa proprio e Fassino ambisce a ben altre posizioni, chi ci va in fabbrica? Gli operai, loro di certo ci vanno; ma come con quale spirito e come e perchè hanno accettato quell’accordo che li priva dei più elementari diritti faticosamente conquistati con un secolo di lotta sindacale? Lo fanno perchè hanno fame, per la sopravvivenza perchè non percepiscono né mai percepiranno quindicimila euro al mese per andarsi a sedere a Montecitorio o per “correre” per poltrone istituzionali sia centrali che locali. Alla fine che importa, che cosa mai può importare loro di personone che semmai sono da considerare solo come numeretti portatori di schede elettorali? E gli operai? La gente comune? Questi guardano, e forse giustamente, solo un lato della medaglia: “almeno così si conserva il posto e lo stipendio” e si può continuare a mangiare e sopravvivere. Alla fine tutti contenti, tranne uno – la FIOM- il cattivo di turno, quelli fuori dal tempo, anacronistici e conservatori. E’ vero che ci sarebbe da aprire tutta una riflessione su cosa significhi, oggi, essere conservatori e cosa essere progressisti; ma forse la visione del mondo si è un po’ rovesciata o è solo immagine riflessa di stessa in un gioco di specchi di borgesiana memoria, ma questa è un’altra storia.
Â
Â
Â
Â
2Â