La Biblioteca del Daverio ospita la mostra personale di Agron Hoti dal titolo “Mani mani mani. Agron Hoti. Ritratti milanesi” presentata durante l’inaugurazione da Philippe Daverio, a cura e con allestimento di Sebastiano Daverio.
L’esposizione offre una selezione di lavori inediti, tutti realizzati nel 2017, dittici che si compongono di un ritratto e di un pannello di matrice astratta. Si tratta di personaggi noti, appartenenti al mondo dell’arte, della scienza, della storia, che hanno avuto nel corso della loro vita punti di contatto con la città di Milano.
La loro rappresentazione, un’immagine in bianco e nero, è arricchita dalla colorazione di una mano e da una banda laterale, che diviene il tono dominante dell’opera in sé, in quanto ritorna anche nella parte superiore dove sono presenti schizzi dello stesso colore uniti al nero. Agron Hoti nel suo persorso artistico si è spesso dedicato infatti alla realizzazione di opere astratte, di grandi dimensioni, nelle quali la potenza dell’opera è trasmessa attraverso la componente cromatica.
Oltre ad essere un omaggio ai soggetti rappresentati, la colorazione della mano è metafora del fondamentale apporto che ognuno di loro ha dato alla società, sostiene Agron Hoti “con la loro mano hanno compiuto gesti meravigliosi, hanno dato un contributo positivo alla loro contemporaneità. Il segno astratto è simbolo di libertà, di una nuova vita che viene data a queste personalità, un contributo a tenerle vive nella memoria e nel futuro“.
È il gesto istintivo che conduce l’artista nell’associazione del colore all’individuo, così Lucio Fontana è accostato al rosso, Giorgio Gaber al giallo, Piero Manzoni al verde, Eugenio Montale all’ocra, Tomas Milian all’arancione e Giorgio Strehler al blu.
I numerosi lavori esposti sono anche rappresentazione di una dimensione interna, che ha punti di contatto con la psicoanalisi in quanto vengono rappresentati personaggi cui la collettività associa inconsiamente delle idee e come afferma Philippe Daverio: “Nasce così un teatrino dell’anima dove appaiono le immagini d’una memoria che è collettiva e che plasma l’identità contemporanea. Il XXI secolo sta preparando le icone per i posteri“.