(Adnkronos) – Una paziente, affetta da una rara forma di cecità ereditaria, ha visto la sua prima stella, raccontano gli esperti. Un’altra ha ammirato per la prima volta i fiocchi di neve. Altri ancora sono stati in grado di orientarsi fuori casa o di leggere le etichette sui dolci di Halloween dei loro figli. Qualcosa di impensabile quando si cresce fin da piccoli nel buio. Eppure questi sono i risvolti concreti che raccontano i risultati scientifici ottenuti, nell’ambito di un piccolo studio, con una terapia genica sviluppata da scienziati dell’università della Florida e mirata alla mutazione all’origine dell’amaurosi congenita di Leber di tipo I o Lca1, malattia che porta alla perdita di gran parte della vista già nella prima infanzia.
Terapia genica: lo studio
Il miglioramento ottenuto a seguito della somministrazione è di 100 volte, ma alcuni pazienti hanno persino sperimentato un miglioramento di 10mila volte dopo aver ricevuto la dose più alta della terapia, secondo i ricercatori della Perelman School of Medicine all’università della Pennsylvania che hanno co-diretto la sperimentazione clinica. I dati sono pubblicati su ‘The Lancet’.
Un totale di 15 persone hanno partecipato alla sperimentazione di fase 1/2, tra cui 3 pazienti pediatrici, tutti ‘arruolati’ per via della diagnosi di Lca1 come risultato di mutazioni nel gene Gucy2d (presenza di 2 copie difettose), essenziale per la produzione di proteine cruciali per la vista. Questa specifica condizione colpisce meno di 100mila persone in tutto il mondo, circa 3mila in Europa e negli Stati Uniti.
I pazienti trattati avevano una grave perdita della vista e la sperimentazione ha testato diversi livelli di dosaggio della terapia genica, Atsn-101, che è stata iniettata chirurgicamente sotto la retina. Per la prima parte dello studio, ciascuna coorte di 3 adulti ha ricevuto uno dei 3 diversi dosaggi: basso, medio e alto. Tra ogni livello di dosaggio sono effettuate valutazioni per garantire che fossero sicuri prima di aumentare per la coorte successiva. Una seconda fase dello studio ha comportato solo la somministrazione dei livelli di dosaggio elevati sia agli adulti che a una coorte di 3 pazienti pediatrici, sempre dopo le revisioni di sicurezza.
I risultati
I miglioramenti sono notati rapidamente, riportano gli esperti, “spesso entro il primo mese” dall’applicazione della terapia, e sono durati “per almeno 12 mesi”. Ora sono in corso anche le osservazioni dei pazienti partecipanti. La metà di quelli sottoposti a un dosaggio alto hanno ottenuto il punteggio massimo nei test che prevedevano di completare un percorso di mobilità in vari livelli di luce. E dei 9 che hanno ricevuto il dosaggio massimo, 2 hanno avuto il miglioramento della vista di 10mila volte. “Sebbene avessimo precedentemente previsto un grande potenziale di miglioramento della vista in Lca1, non sapevamo quanto i fotorecettori dei pazienti sarebbero stati recettivi al trattamento dopo decenni di cecità”, osserva Cideciyan.
“Questi risultati aprono la strada al progresso della terapia in una sperimentazione clinica di fase 3 e alla sua commercializzazione finale”, ha affermato Shannon Boye, che in ateneo è capo della Divisione di terapia cellulare, ed è coautrice dello studio e co-fondatrice di Atsena Therapeutics. Boye ha lavorato allo sviluppo di una terapia genica mirata a Lca1 per oltre 20 anni, da quando si è iscritta come studentessa laureata all’University of Florida nel 2001.
Laboratorio e collaborazioni
In collaborazione con il marito Sanford Boye, il suo laboratorio ha messo a punto il sistema di trasporto, basato su virus, necessario per fornire copie funzionanti del gene Gucy2d nelle cellule corrette negli occhi. I Boye hanno fondato Atsena Therapeutics nel 2019 per portare sul mercato il trattamento e altre terapie geniche.
“La maggior parte delle aziende farmaceutiche non è interessata a curare queste malattie rare, perché non sono forti generatori di entrate – evidenzia Sanford Boye – Ma pensiamo che questi pazienti meritino attenzione, perché abbiamo trattamenti che funzionano e forniscono miglioramenti davvero significativi alla loro qualità di vita”. Ovviamente per un ampio accesso alla terapia sarà necessaria l’approvazione della Fda, che potrà arrivare dopo la sperimentazione clinica di fase 3 su una popolazione più ampia di pazienti.
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Foto di Miguel Á. Padriñán da Pixabay