La malattia del cervo zombie torna a far parlare di sé. Nelle ultime settimane, infatti, sta registrando un preoccupante incremento nei cervi e nelle alci di Usa e Canada. Se non si troverà un modo per fermarla, potrebbero esserci gravi conseguenze sia ambientali che economiche mentre al momento non ci sono prove di una possibile trasmissione della malattia all’uomo.
Malattia del cervo zombie: cos’è
La malattia del deperimento cronico, è questo il suo nome tecnico, è un disturbo neurologico che colpisce alcune specie animali. La sua origine risiede nella mutazione di una proteina in una forma anomala detta prione. Una delle caratteristiche del prione è la sua capacità di trasmettere la mutazione da cui è stata colpita ad altre proteine sane. L’accumulo di prioni provoca un’encefalopatia spongiforme trasmissibile, una malattia degenerativa del sistema nervoso centrale. Il progressivo deperimento che ne deriva conduce inesorabilmente alla morte.
I cervi e le alci colpiti dalla mutazione genetica presentano sintomi molto ben riconoscibili. I loro movimenti sono lenti, appaiono letargici, emaciati, gli occhi diventano vitrei, lo sguardo fisso e producono un’enorme quantità di bava. Da qui la denominazione di malattia del cervo zombie.
Attualmente, per questa patologia, non esistono cure né vaccini in grado di bloccarla o rallentarla.
La situazione in Usa, Canada ed Europa
Sembra che l’encefalopatia sia presente negli Usa già da diversi anni e che la sua sottovalutazione sia all’origine di una sua diffusione silenziosa ma capillare nel tempo. Negli ultimi mesi, a Yellowstone, nel Wyoming, i cacciatori si sono imbattuti in molti cervi ammalati e in cadaveri e secondo le autorità locali, gli esemplari di cervi e alci colpiti dalla malattia sono stati 800. Il rischio, soprattutto per la zona, è che la malattia si possa trasmettere ad altre specie animali. Yellowstone, infatti, è sede di uno dei parchi nazionali più grandi del Paese, esempio di ecosistema molto variegato composto anche da molti esemplari di megafauna.
In Europa, la malattia è stata diagnosticata per la prima volta nel 2016 in una renna norvegese e da allora altri casi sono stati riscontrati in cervi, alci e renne in Norvegia, Svezia e Finlandia.
Lo spettro della mucca pazza
Il pericolo, al momento, è che la malattia possa trasmettersi ad altre specie animali, come gli ovini, distruggendo interi greggi. Non manca, in realtà, il timore di una trasmissione anche all’uomo e che si generi una nuova psicosi collettiva come avvenne con il morbo della mucca pazza. Anche in quel caso, infatti, si trattava di un’encefalopatia spongiforme causata da prioni.
Al momento, gli studiosi che si stanno occupando di questa malattia non hanno prove che giustifichino il pericolo di una zoonosi, cioè di un passaggio della malattia dall’animale all’uomo.
L’origine della malattia, però, è al momento sconosciuta e si stanno cercando marcatori utili alla sua diagnosi precoce. Il rischio, infatti, è che il propagarsi dell’encefalopatia provochi gravi danni agli ecosistemi e che le carni infette possano arrivare sulle tavole.
L’abbattimento degli esemplari malati, strategia molto comune per fermare le malattie tra gli animali, potrebbe portare ingenti danni alle economie locali.
In copertina foto di Rick Houchin da Pixabay