(Adnkronos) – (dall’inviata Elvira Terranova) – Arriva al Palazzo di giustizia di Caltanissetta alle 10.50 in punto, ma preferisce entrare da un ingresso secondario, lontano da occhi indiscreti. Ad accompagnarlo c’è il figlio, un docente universitario, e i suoi due legali, gli avvocati Fabrizio Biondo del Foro di Palermo ed Ettore Zanoni del Foro di Milano. Ma Gioacchino Natoli, ex pm del pool antimafia di Falcone e Borsellino, indagato per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra e calunnia, non parla con i pm.
Decide di avvalersi della facoltà di non rispondere. Così, dopo i primi convenevoli, la lettura degli atti, le incombenze burocratiche, poco dopo le 12.40, l’ex magistrato ed ex Presidente della Corte d’Appello di Palermo, lascia il Tribunale di Caltanissetta, ancora una volta usando l’uscita secondaria. Così, i cronisti e le telecamere non lo vedono. L’unico a uscire dalla porta principale è il figlio Roberto che sussurra: “Sono qui per motivi affettivi…”, e se ne va per andare a prendere la macchina per riaccompagnare il padre a Palermo.
Ma la decisione del silenzio è solo temporanea, come spiega all’Adnkronos, il legale di Gioacchino Natoli, l’avvocato Fabrizio Biondo. “Il dottor Natoli si è avvalso della facoltà di non rispondere riservandosi di chiedere alla Procura un successivo interrogatorio in cui fornire ogni utile chiarimento”, spiega il legale prima di andare via. “Non ho altro da dire”. E se ne va in silenzio, con l’altro legale. Bocche cucite in Procura, dove è stato vietato l’accesso ai giornalisti, che sono stati invitati dalle Guardie giurate anche a lasciare il Palazzo di giustizia. Le contestazioni a Natoli sono legate all’indagine Mafia e appalti, avviata agli inizi degli anni Novanta a Palermo e a cui lavorò con grande impegno il giudice Paolo Borsellino.
Per i pm nisseni, Natoli avrebbe insabbiato l’indagine della Procura di Massa Carrara, poi confluita nel procedimento sulle gare pubbliche gestite dalla criminalità organizzata, per favorire l’imprenditore palermitano Francesco Bonura. Ma avrebbe aiutato anche altri imprenditori Antonino Buscemi, Ernesto Di Fresco, Raoul Gardini (morto suicida), Lorenzo Panzavolta e Giovanni Bini “ad eludere le indagini”.
All’interrogatorio partecipano il Procuratore capo, Salvatore De Luca e i pm Claudia Pasciuti e Davide Spina. Assente l’aggiunto Pasquale Pacifico, impegnato in altra attività istruttoria. I magistrati avrebbero voluto chiedere all’ex pm del pool antimafia notizia sulle bobine smagnetizzate contenenti le intercettazioni di quella inchiesta di Massa Carrara, poi confluita nella indagini su ‘Mafia e appalti’ di Palermo.
Secondo l’accusa, l’ex pm Gioacchino Natoli avrebbe aiutato i fratelli Antonino e Salvatore Buscemi, svolgendo “un’indagine apparente”, facendo in modo che “non trascritte conversazioni particolarmente rilevanti”. Sempre per i pm siciliani Natoli “avrebbe disposto la smagnetizzazione delle bobine e la distruzione dei brogliacci”, in modo da occultare i risultati rilevanti in sede d’indagine delle intercettazioni telefoniche.
A tirare in ballo l’ex pm è anche l’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia del giudice Paolo Borsellino che, sentito davanti alla Commissione nazionale antimafia, nell’autunno scorso, ha spiegato come l’allora pm del pool antimafia Natoli, nel giugno del 1992, subito dopo la strage di Capaci e prima della strage di via D’Amelio, “aveva chiesto l’archiviazione e la smagnetizzazione delle intercettazioni e la distruzione dei brogliacci di una inchiesta riguardante due società operanti nelle cave di marmo di Massa Carrara, legate in qualche modo ai fratelli Nino e Salvatore Buscemi, e al boss mafioso Totò Riina”.
L’avvocato ha collegato l’indagine sui Buscemi a quelle del Ros dei Carabinieri su ‘Mafia e appalti’, indicandole come il movente segreto della strage Borsellino. Il comportamento di Natoli, secondo il legale, era stato “anomalo” per “un’indagine di mafia”. “Il dottore Natoli avrebbe dovuto giustificare quella distruzione a Borsellino, se Borsellino fosse sopravvissuto”, ha sostenuto Trizzino in Commissione Antimafia. Ma per Natoli, ascoltato da lì a poco dalla stessa Commissione nazionale antimafia, ha parlato di “affermazioni denigratorie” che “sono tutte clamorosamente destituite di fondamento”.
E, con documenti alla mano, ha sottolineato che le affermazioni dell’avvocato Trizzino su quelle intercettazioni fossero “clamorosamente false”. Innanzitutto, perché “le bobine delle intercettazioni telefoniche eseguite su indicazione della procura di Massa Carrara non furono mai consegnate a Palermo, e perché l’ordine di smagnetizzazione atteneva esclusivamente ai decreti emessi dal gip di Palermo”, ha detto Natoli in Antimafia.
L’ex pm ed ex Presidente della Corte d’Appello di Palermo ha anche riferito alla Commissione di aver richiesto alla Procura di Palermo, nella persona del procuratore della Repubblica Maurizio de Lucia, la consultazione del cosiddetto “modello 37”, cioè quel registro sul quale vengono annotati tutti i decreti di intercettazione e il divenire del decreto di intercettazione.
Nel frattempo, la Procura di Caltanissetta, ha iscritto Gioacchino Natoli nel registro degli indagati. L’allora procuratore Giammanco, con il quale Natoli avrebbe agito, nel frattempo è deceduto. Giammanco, morto nel 2018, definito dai magistrati “l’istigatore” di un “disegno criminoso” con l’obiettivo di insabbiare l’inchiesta su Mafia e appalti.
Se fosse ancora vivo, anche lui avrebbe ricevuto dalla procura di Caltanissetta un avviso a comparire che contesta l’accusa gravissima di favoreggiamento alla mafia, lo stesso atto ricevuto dall’ex sostituto procuratore Gioacchino Natoli. Che oggi, però ha deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere. Per parlare con i magistrati di Caltanissetta solo in un secondo momento. Quando non si sa.
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