Una bambina di 52 anni sembra essere un’enorme contraddizione, ma non lo è perché il personaggio di cui vogliamo parlarvi è Mafalda.
Nata inizialmente come disegno pubblicitario per una casa di elettrodomestici, la protagonista dell’omonimo fumetto che il disegnatore argentino Joaquín Lavado, in arte Quino, pubblica nel 1964 fino al 1973, ben presto, dopo aver spopolato in area ispanica (America Latina e Spagna), diviene popolarissimo ovunque, soprattutto in Europa. In Italia viene pubblicata nel 1968, prima da Feltrinelli e poi da Bompiani con una prefazione scritta addirittura da Umberto Eco.
Quino colloca Mafalda fin da subito in un contesto di adulti oltre che di bambini come lei, a differenza di Schulz, creatore di Charlie Brown, altro personaggio popolare dell’epoca, che lo inserisce in un mondo di bambini e solo con essi lo fa interagire. Per questo Charlie Brown si integra nel suo mondo, mentre Mafalda ne è la trasgressiva contestatrice che mette in crisi le certezze degli adulti, la loro passiva visione dello status quo, risaltandone i limiti, le contraddizioni.
Eppure Mafalda non è una bambina saccente, ma solo una ribelle che vede la malattia del mondo e nella sua ingenuità di bambina la denuncia con una immediatezza e semplicità che rende questa sua denuncia più incisiva e caustica di tanti libelli satirici o proteste formalizzate dal mondo adulto. Sappiamo come lo sguardo di un bambino sia stato usato anche in letteratura per evidenziare ancor più le ingiustizie e la violenza del mondo. Serva, come esempio tra i tanti, il Pin de “Il sentiero dei nidi di ragno” di Italo Calvino, un bambino di dieci anni che guarda e giudica il mondo durante la Resistenza al nazifascismo.
Mafalda vive in un quartiere piccolo borghese di Buenos Aires con la sua famiglia, figlia di quella classe media che finisce per soffrire in Argentina tutte le sorti della cattiva politica, e dalla sua stessa casa si scaglia prima di tutto contro le contraddizioni familiari e poi contro le storture del mondo. Mafalda non vuole essere come sua madre, una donna che ha rinunciato agli studi e al lavoro per fare la casalinga e la madre di famiglia. Mafalda la ama, a parte quando gli serve la “sopa” (la minestra) che odia quasi quanto odia la guerra, l’ingiustizia, la violenza, la sopraffazione, ma non sopporta di diventare come lei: una bambina “femminista” ante litteram, nella sensibilità prima che nella coscienza.
Quando chiesero a Quino perché avesse scelto come protagonista una bambina ribelle, rispose che era nata così, figlia dei tempi, sfuggente agli stereotipi e alle convenzioni. Erano gli anni della contestazione giovanile, della guerra del Vietnam, della lotta per i diritti civili, dell’affermarsi del movimento femminista, anni che avrebbero cambiato per sempre la nostra società.
Mafalda è una voce di quei tempi, una bimba che ama i Beatles, la pace, i diritti umani, la democrazia, ma anche i panqueques (le crêpes) e giocare nel parco coi suoi amici, indignata con innocenza per come va il mondo e per come gli adulti lo gestiscono.
Ma continua ad essere, nei nostri tempi (viene ancora pubblicata in decine di paesi), la piccola portavoce di uno scontento politico e di una disuguaglianza sociale che ancora caratterizzano l’attuale società. Sognatrice e idealista, con i suoi genitori e con la sua piccola corte di amici, passa a instancabile setaccio l’intera condizione umana e i suoi commenti realisti, ironici, a volte quasi al bordo del pessimismo e del cinismo, sono la voce della coscienza del cittadino medio che si sente impotente di fronte alla gigantesca soffocante corrotta macchina dell’economia e della politica.
La voce di Mafalda è la voce di Quino che con humor acido invia ai suoi lettori il suo messaggio sociale, ricorrendo alla riduzione all’assurdo di situazioni conosciute, convinto com’è che il sorriso sia il mezzo migliore per confrontarsi con la realtà e conoscerla.
Il progressismo sociale dell’epoca non poteva essere rappresentato meglio che attraverso l’anticonformismo di questa piccola “porteña” (abitante di Buenos Aires), perché Quino ci tiene a dire che la sua Mafalda è totalmente argentina, nelle sue esperienze, modi di fare, linguaggio. Di conseguenza si è sempre stupito del suo successo internazionale.
Chi ha la possibilità di leggere l’originale spagnolo non potrà che dargli ragione. Ma proprio perché assolutamente legata al territorio, Mafalda, il cui esotico nome viene dalla versione cinematografica del romanzo “Dar la cara” (Metterci la faccia) di David Viñas, è divenuta universale, al punto che è stata chiamata a illustrare e rappresentare persino i Diritti dei bambini, proclamati dall’ONU.
Il suo fumetto è diventato col tempo, nella percezione dei suoi numerosissimi lettori, dal Giappone agli Stati Uniti, una sorta di compendio di “racconti morali”, un vero e proprio oggetto di culto.