Brecht scrisse Madre Courage e i suoi figli dall’esilio, nel 1938, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale. È un’opera di contraddizioni e antinomie: la principale è che Madre Courage si sforza di proteggere i suoi figli dalla guerra grazie alla quale lei stessa vive e guadagna, ma li perde inesorabilmente uno dopo l’altro.
La donna e il suo carro sono emblema di questa distorsione umanissima, per la quale la paura della morte si sconfigge entrando in una economia di morte. Ogni volta che uno dei suoi figli viene a mancare, Madre Courage è occupata nei suoi affari e nei suoi commerci.
L’identità femminile in Courage si scardina dai modelli, rifiuta le aspettative e l’obbligo di una responsabilità materna infinita ed “eterna”, rischiando di apparire una figura forse sgradevole, forse sospesa tra bene e male, e, in questo senso, forse incompiuta.Il testo ha un valore quasi profetico: Brecht, nutrito anche dai ricordi della Grande Guerra, compone un’opera definitiva sulle guerre di tutti i tempi, rimandandoci all’idea dell’apocalisse: Courage si muove in un mondo che già non c’è più nel quale, però, i riti sociali (il conflitto, il potere, il commercio) rimangono e si rinnovano. In un tempo distopico, dove l’essere umano è capace di abituarsi addirittura alla sua stessa fine, Madre Courage è sopravvissuta fra i sopravvissuti.
Recuperando e rielaborando i materiali che hanno costituito la composita partitura di Madre Courage e i suoi figli, a partire dall’edizione del 1941, comprese le fonti e le nove canzoni del testo, Paolo Coletta dirige Maria Paiato in una nuova versione del capolavoro brechtiano dalle forti componenti musicali, dove parola, corpo e musica si fondono per ritrarre un’umanità che somiglia così tanto al nostro presente.