Ha debuttato mercoledì 13 gennaio la nuova serie Mediaset “Made in Italy”. 4 puntate nelle quali sono raccontati gli anni Settanta con tutto il loro portato di cambiamenti, sulla scia del ’68. Si racconta soprattutto la nascita della moda italiana. Quel momento in cui la moda italiana diventa sistema e si appresta a competere con le tendenze dettate dalla Francia. Dopo 50 anni, con le sue 95.000 aziende tra tessile, accessori e concerie, l’industria della moda è un fiore all’occhiello del Made in Italy.
Made in Italy: di cosa parla la nuova serie Mediaset
Il pensiero, inutile negarlo, va subito alla pellicola americana “Il Diavolo veste Prada”. Irene Mastrangelo, interpretata da Greta Ferro, che approda alla redazione di “Appeal”, ricorda e neanche vagamente l’Andrea Sachs l’assistente alla direzione di Vogue America. Anche qui abbiamo una caporedattrice, Rita Pasini, impersonata da Margherita Buy, che, però, non ha la cattiveria di Amanda Priestly. Il contesto storico, però, è totalmente diverso: siamo nell’Italia degli anni Settanta, un Paese alle prese con la rivoluzione femminista, i movimenti operai. Con il suo cast di tutto rispetto, “Made in Italy” esplora il mondo della moda attraverso i suoi personaggi più significativi: Giorgio Armani (Raoul Bova), Krizia (Stefani Rocca), Rosita e Ottavio Missoni (Claudia Pandolfi ed Enrico Lo Verso), Raffaella Curiel (Nicoletta Romanoff). Nomi destinati a diventare vere icone.
L’industria della moda
Vere icone e veri imprenditori in un settore industriale che prima della pandemia contava 90.943 aziende e un fatturato di 80 miliardi di euro. La filiera della moda forniva 500mila posti di lavoro, parliamo, cioè, del 12,5% dell’occupazione nell’industria manifatturiera italiana. L’imperfetto è d’obbligo dopo che il Covid ha abbattuto la sua falce anche su questo settore. Con la pandemia, infatti, la produzione, tra tessile, abbigliamento e pelletteria è calata dell’80% mentre il lockdown, con la chiusura dei negozi, ha frenato l’attività commerciale. Un piccolo spiraglio lo ha dato il settore e-commerce con le vendite online ma è chiaro che parliamo di cifre che non riescono a scongiurare una crisi occupazionale. Come risollevare il settore quando la pandemia sarà finita?
Scenari futuri
La Federazione della Moda Italiana di Confcommercio, auspica una ripresa dei consumi. In realtà il discorso è un po’ più complesso: l’abbigliamento e tutto il settore moda hanno bisogno di reinventarsi. Anche per questo settore valgono le due parole chiave innovazione e sostenibilità. Il know how che ha fatto grande questa tradizione deve essere integrato con i moderni strumenti digitali. Quella della moda, inoltre, è considerata la seconda industria più inquinante al mondo. Dai processi produttivi di tessuti e pellami allo smaltimento degli indumenti, la moda dovrà presto fare i conti con gli obiettivi di sviluppo sostenibile che sono nelle agende politiche di tutto il mondo. E un occhio andrà rivolto anche alla cosiddetta delocalizzazione del lavoro, che è solo un modo più fashion per dire sfruttamento del lavoro spesso anche minorile. Quando si dice: non è tutt’oro quel che luccica.
In copertina foto di Bruno Cordioli per Flickr