«C’è crisi, c’è grande crisi», questa la battuta-tormentone che qualche anno fa circolava in TV profferita a piene mani da un sedicente santone, alias Corrado Guzzanti. Bene, quella crisi di cui cianciamo tutti i giorni da quasi un decennio un po’ tutti ha subito delle mutazioni genetiche ed ha indotto, a sua volta, mutazioni genetiche profonde nel tessuto sociale italiano ma non solo nostrano.
Ad un certo punto viene anche il, legittimo, dubbio se non ci si comuncia pure un poco a marciare su questa cosa della ‘crisi’ e la si usi come alibi ad ignominie di ogni tipo.
La crisi che, oggi, attrae la nostra attenzione non è quella economica ma quella sociale; quella crisi che, seppure partita o generata da quella economica, ha preso vita prorpia e genera mostri della ragione davvero difficili da comprendere rgionando con la media intelligenza del buon padre di famiglia.
La cronaca, non la politica o l’economia per le quale un minimo di sovrastruttura intellettiva abbisogna per discettare, è la terra di tutti e – come per il calcio per esempio- tutti si sentono in grado di analizzare, approfonidre e tirare conclusioni. E’ prorpio la cronaca, alcuni ultimi fatti di cronaca che ci fanno restare basiti non solo dai fatti stessi ma soprattutto dalle considerazioni e dalle discussioni che vengono generate automaticamente.
I fatti di cronaca, si sa, sono quelli che maggiormente affollano i talk show dei ‘pomeriggi rosa’ italiani e le milionate di pagine dei social, sempre più “tribunali del popolo” (ma di quel popolo da talk show dursiano, per intenderci) chiamati per volere divino ad emettere sentenze inappellabili.
Succede che un gruppo di mentecatti si accanisca su un ragazzo, a Napoli, seviziandolo per lo sfizio di farlo; oppure accade che le cataratte del cielo si aprano su Genova causando l’ennesiva alluvione ed ecco entrare in azione in maniera automatica la macchina dell’accusa alla città ignobile per uno e ai politici ladri dall’altro; e giù un numero incalcolabile di servizi televisivi e post inondare l’etere dove giornalisti, pietisticamente piagnucolosi o altezzosamente vestiti da novelli savonarola, aizzano l’intervistato di turno rigirando sadicamente il coltello nella piaga cercando di mostrare quanto siano stati bravi a scovare la nonna della cugina della zia del bruto di turno o – peggio – cavalcare il giusto sentimento di rabbia che carica chiunque veda la propria vita cadergli addosso per un fenomeno naturale come la pioggia.
Questa è la crisi di professionalità e di umanità che avvolge chi fa la nostra professione e invece di preoccuparsi di raccontare non esita a diventare aguzzino psicologico e sociopatico di una persona, di una città, di chi sta vivendo una sciagura. Di questo giornalismo d’accatto, comunicazione da “Cronaca Vera” siamo, ormai, invasi e il rimbalzare di visi e parole laddove ci dovrebbero suscitare un qualche sentimento non producono altro che una smorfia di sopportazione che attraverserà inesorabiolmente il nostro volto.
La comunicazione, il giornalismo che si fa arma di distrazione di massa ma non in mano a poteri occulti che manovrano nell’onmbra ma semplicemente perchè asserviti a edonismo da selfie.
Dove non c’è informazione non esiste democrazia e le classifiche mondiali in merito sono chiare, l’italia è molto indietro, e non a caso, dunque.
Continuiamo a chiedere uno scatto di reni alla politica e vorremmo che scomparissero sperequazioni, e vessazioni ma evitiamo accuratamente di fare il mestiere che ci siamo scelti e continuiamo a mettere su teatrini mediatici su ogni cosa e ogni volta sono messe in scena più pompose per evitare di dover minimamente analizzare e raccontare la realtà.
Ci accontentiamo e accusiamo con il nostro ditino bello dritto e che indica sempre e comunque gli altri. Noi non abbiamo mai colpe, noi ci riteniamo scevri ed avulsi da qualsiasi contesto noi abbiamo assunto i meccanismi da piazza virtuale in tutto quello che facciamo e nulla più c’interessa davvero.
Sopra le nostre teste si disegna un mondo che stritola sempre più le persone in quanto tali, ma a noi interessano i clik, i rilevamenti di gradimento.
Ognuno dalla sua scrivania, con il suo pc o con la telecamera o con il microfono a disposizione non sa che farsene e, con il lauto stipendio da ccnl che intasca fregandosene se fuori ci sono tanti che quei livelli non li raggiungeranno mai (anzi facendo tutto il possibilile perchè ciò accada) pensa solo a come fare in modo di non perdere i propri privilegi di casta (si perchè anche questa è casta, non solo quella dei politici, quegli stessi politici dell’aiutino che nessuno conosce e che tutti attaccano a salve).
Se si è preoccupati per questo come si può mai pensare di fare coscienza nella gente? Se dai nostri programmi radiofonici o televisivi o dai nostri giornali e dai nostri siti non si fa null’altro che sparare a salve sui potenti e a pallettoni sugli ultimi (che siano immigrati, disoccupati, napoletani o magrbini) interessandosi solo di costruire una bella sceneggiata da mandare in onda poi che abbiamo da lamentarci quando il “branco” colpisce un ragazzino solo perchè ha qualche chilo in più, o si ammazza per il tifo del calcio, o si racconta delle sentinelle del diritto di togliere i diritti agli altri.
Facciamo tutti uno scatto di reni, raddrizziamo tutti la schiena verso le nostre coscienze – se ancora ne abbiamo una – e quelle dita mettiamole su una tastiera per raccontare e fare coscienza sociale non per specchiarsi nella propria inutile vanità.