Le case, quando ci abiti, sono carnali.
Muri, pavimenti, mobili, oggetti, fiori, letti d’amore e di sonno, polvere e lifting per le grandi occasioni. Sono odori, profumi, vapori, sapori, colori, calori, rumori, suoni, luci e tenebre.
Sono abitudini scontate.
Ti accorgi che hanno anche un’anima quando non ci respiri più, quando, nel tempo, la smemoratezza di averle vissute diventa consapevolezza di averle perse per sempre. È allora che le ripercorri. Perché una casa dentro ci vuole, come insieme di luoghi in cui si sono snodate sensazioni e tappe personali e collettive.
Luoghi d’anima.
La casa dei miei luoghi d’anima ha un’unica stanza da dopoguerra, col fornellino elettrico dietro un paravento, odore di latte traboccato, strati di coperte contro il freddo, un umile desco come nel libro di lettura, occhi sgranati sulle latte scintillanti dei giocattoli di Natale. E un cortiletto piantato a rose, con i petali imbocco una striminzita capretta. La bellezza radiosa di mia madre impreziosisce ogni cosa.
La casa dei miei luoghi d’anima è un appartamento da primi anni della ricostruzione, piccolo perché la ripresa non è ancora boom, ma con una stanza tutta per noi, me e mia sorella, con i mobili in tek e i tessuti variopinti che sanno di modernità e di futuro, seppure da meritare col peso di cambiali mensili. Ecco il giardino di margherite, ireos, rose, muri d’edera, l’albero di nespole e l’enorme fico dove mi rifugio a leggere, il cancello sulla strada da cui sbircio quel ragazzo che passa, chissà come sarà baciarlo alla maniera che ho visto al cinema! Ho sulla pelle il caldo di quelle estati infinite, a fantasticare sul mondo oltre le sbarre, e su quello più grande oltre il mare aperto, randagia on the road come il libro americano, mentre il giradischi canta in una lingua che non conosco eppure capisco, perché linguaggio del mio tempo.
La casa dei miei luoghi d’anima è il grande appartamento moderno del benessere raggiunto, luminoso di spazi e di confort. Da cui voglio fuggire, e fuggirò, perché fuori c’è il ’68, che promette un mondo capovolto e disprezza gli agi borghesi, proprio ora che con sudore si sono diffusi.
La casa dei miei luoghi d’anima è il buco bohémien di Milano dove aspetto la rivoluzione, la prima casa di Torino dopo che la rivoluzione c’è stata, seppure diversa da come la immaginavo: culla, lettini, giochi ovunque, due bambini che si aprono al mondo col mio stesso sguardo curioso e avido. Il ritorno al privato dopo la fine dell’utopia.
La casa dei miei luoghi d’anima, l’ultima, è quella di mia madre, appannata dagli anni, appesantita dall’accumulo, rattristata dalla vecchiaia, come tutto il paese. Ma con lo stesso letto di ragazza dove ritrovarmi figlia ad ogni rientro. Illusione d’eternità. Ora che Lei non c’è più e che l’appartamento è passato di mano, mi aggiro spaesata tra le case che abito.
Dovrò imparare a riconoscerne l’anima finché ancora ci respiro, a raccoglierne i ricordi prima della memoria.
Foto di Maria Antonietta Macciocu per Cinque Colonne Magazine