Una disamina interessante sulla perversione è racchiusa nel volume L’uno perverso. L’uno senza l’altro: una perversione? (Textus Edizioni, 2018, pp. 269), che raccoglie scritti di un convegno tenutosi nell’aula 2A del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università de L’Aquila nel 2016, a firma di Sergio Benvenuto, Campo, Felice Cimatti, Federico Leoni, Silvia Lippi, Franco Lolli, Alex Pagliardini, Massimo Recalcati, Rocco Ronchi, Silvia Vizzardelli.
Il volume è a cura di Alessandra Campo, studiosa dei rapporti tra filosofia e psicoanalisi con particolare riguardo alle implicazioni metafisiche e cosmologiche della teoria freudiano-lacaniana, e nasce dalla lettura di un testo di Gilles Deleuze (il Deleuze di «In ogni istinto, la verità ha preso la forma di un’illusione per agire sulla volontà»), Michel Tournier e il mondo senza altrui, inserito in Logica del senso (trad. it. di M. de Stefanis, Feltrinelli, Milano, 2009) che commenta il primo romanzo dello scrittore francese Michel Tournier (Venerdì o il limbo del Pacifico, trad. di Clara Lusignoli, Einaudi, Torino, 1976), dove la domanda principale è “cosa succede in un mondo senza altri?”, è a cura di Alessandra Campo, studiosa dei rapporti tra filosofia e psicoanalisi con particolare riguardo alle implicazioni metafisiche e cosmologiche della teoria freudiano-lacaniana.
Gli autori di queste pagine – come riporta una nota sul sito dell’editore – riflettono sul senso del “ritorno” della questione dell’Uno – come godimento, Ab-soluto o Reale – nell’attuale panorama filosofico e psicoanalitico. Un ritorno che è tale se si pensa a come il Novecento sia stato, dopotutto, il secolo dell’Essere e dell’Altro, del Tempo e della Relazione. L’Uno torna come anti-Novecento e lo fa incarnandosi in alcune istanze antifenomenologiche e antiumanistiche che caratterizzano il dibattito contemporaneo internazionale. Qual è allora il significato di quell’anti-? Che rapporto ha, se un rapporto c’è, quell’anti- (e dunque il ritorno dell’Uno) con la dialettica, tipica della perversione, tra la Legge – quella del Novecento – e la sua trasgressione-perversione? Che cosa significa, in altri termini, “l’Uno senza l’Altro”? Secondo la Campo, «nel motivo della rivendicazione dell’uno tutto solo di decostruire il primato della relazione, non si possa scorgere una fantasia perversa».
Diciamo subito che la perversione non è desiderio ma puro godimento nell’infrangere le leggi dell’uomo e il suo annientamento, in quanto il perverso non accetta che se stesso, una forma di narcisismo. In questo volume collettaneo si discetta sul senso del “ritorno” del singolo, come godimento assoluto – appunto – o come prerogativa della realtà nell’attuale panorama filosofico e psicoanalitico. Dunque una realtà basata sul singolo (sull’Uno) come d’altronde è stato per tutto il novecento; quindi una fenomenologia antiumanistica dell’Essere e dell’Altro, che scaturisce una dialettica basata sulla perversione; ossia, tra la Legge e la sua trasgressione. Insomma, – secondo noi – non può esistere l’Uno senza l’Altro, anche se sempre più spesso, oggi, l’Uno prevale sull’Altro.
Anche facendo nostro il pensiero di Massimo Recalcati (uno degli antologizzati che prendiamo a modello) sulla perversione, che ha già espresso altrove (Perché si è attratti dalla perversione, in «la Repubblica, 7 giugno 2016), non possiamo trascurare la lezione di Lacan: «Nella lezione di Lacan essa viene riportata ad uno speciale rapporto del soggetto con la Legge. Il perverso non crede alla Legge. Non solo alla Legge del Diritto e dei Codici, ma a qualunque forma umana della Legge. Egli rifiuta innanzitutto la Legge delle Leggi, ovvero la Legge della castrazione che impone alla vita umana l’esperienza inevitabile del limite, della mancanza e della morte. La perversione non è però, come spesso si crede, la semplice spinta a trasgredire la Legge, perché la sua ambizione è innanzitutto quella di smascherare la Legge come una truffa, una menzogna.
Ogni Legge umana è falsa perché gli uomini hanno inventato la Legge per non voler riconoscere l’unica vera forma la sola possibile della Legge. Quale? La Legge della propria pulsione». Pagliardini, in Psicoanalisi al presente. Risposte al disagio della contemporaneità, aggiunge che «Lacan dà molto valore all’Uno, al suo ruolo fondativo e al suo ripetersi. Allo stesso tempo è fortemente convinto che questo Uno non sta che nell’Altro e che dunque è nell’Altro e solo nell’Altro che possiamo reperirlo, intenderlo e maneggiarlo Lacan dà molto valore all’Uno, al suo ruolo fondativo e al suo ripetersi. Allo stesso tempo è fortemente convinto che questo Uno non sta che nell’Altro e che dunque è nell’Altro e solo nell’Altro che possiamo reperirlo, intenderlo e maneggiarlo.
Ebbene quando Lacan afferma c’è dell’Uno afferma che ha deciso che le cose non stanno così, ossia che occorre dire, pensare, maneggiare l’Uno in sé, l’Uno tutto-solo, e non più – o meglio non solo – sempre e solo l’Uno a partire e attraverso l’Altro».
Dunque, l’uno prevale sull’altro. Perché c’è un vuoto sostanziale di cultura, di politica, di proposte nella nostra società? Perché, probabilmente, viviamo in una società che ha smarrito il senso del desiderio per una perversione del godimento che tende ad annullare il desiderio stesso, in quanto legge, in quanto regola? E senza regole, senza leggi umane non ci può essere società.
Quindi come dice Recalcati, dovremmo ripristinare nei nostri figli il sentimento di infrangere che è alla base della conoscenza, per poter abbattere il puro godimento come potere sull’altro, sulla società, che porta all’indifferenza più totale per far posto esclusivamente al proprio io, appunto, narcisistico: «La Legge della propria pulsione.
Il perverso non si accontenta, come invece abbozza timidamente il povero nevrotico, di aggirare clandestinamente la Legge. Il suo piano è assai più radicale: togliere la maschera alla Legge per rifondarla sulla base materiale della propria spinta pulsionale. La Legge che veramente conta non è quella che impone limiti, sacrifici, differimenti del godimento, ma la spinta a godere della pulsione che rifiuta ogni limite.
In questo senso il perverso realizza, già secondo Freud, quello che il nevrotico può solo fantasticare. Il suo modello non è infatti l’uomo, il quale è fatalmente destinato alla mancanza e alla insufficienza, ma quello di farsi paganamente un nuovo Dio».
È poi tanto scontata quanto inevitabile questa perversione in una crisi economica e dell’individuo cui stiamo vivendo in questi anni. La crisi economica ha creato un demone del godimento, in quanto chi possiede il dio denaro ha lo strumento non solo per godere ma per disporre dell’altro come meglio crede, inculcandogli l’idea di sottomissione, di paura. Vedi le banche, per es. Io credo che se ne possa uscire riempiendo questi vuoti esistenziali in cui abbiamo scaraventato (per troppa protezione, forse) i nostri figli, l’idea di società, ripristinando il desiderio della conoscenza.
La cultura, non già la politica o l’economia, dovrebbe fare molto, un lavoro immane: «La politica come difficile arte della mediazione di interessi differenti e conflittuali per il bene comune della polis appare come un intralcio fastidioso alla realizzazione del programma della pulsione che esige il suo soddisfacimento senza differimenti. Di qui – più profondamente che non a causa della sua corruzione – l’accanimento critico che colpisce l’arte della politica.
Nondimeno è proprio la sua vocazione al confronto con la pluralità dei protagonisti della vita della città e della loro necessaria mediazione che la rendeva già agli occhi di Aristotele un’arte superiore a tutte le altre. Questo significa che la vita della città non scaturisce dalla spinta affermativa di interessi particolari che diventano egemoni, ma dal concerto delle loro differenze» (ID, La triste parabola dell’arte politica ha generato mostri, in «la Repubblica.it», 5 giugno 2016).
Il desiderio dell’altro è stato sostituito dal desiderio di se stessi, in un moderno narcisismo non più basato sulla bellezza ma sulla consapevolezza di poter fare a meno dell’altro. Un po’ come avviene tra i poeti postmoderni e passatisti, convinti che la loro poesia basti alla poesia, entrando in una specie di vortice dove nessuno se ne frega di nessuno: basta esserci, presenziare, far parlare di sé. Ma i poeti di ricerca, che sono un po’ “strani e perversi”, hanno il desiderio di infrangere le regole per non godere di se stessi, ridando alla poesia più piani di lettura e di operatività. Ma non sempre la sola competenza aiuta: devi saper leggere tra le parole quei tratti che liberano un discorso altro, alla ricerca di quella giustapposizione di linguaggio che ogni testo poetico racchiude in sé.
Difficile ruolo di convivenza in questa società, dove anche il perverso (qui inteso come quello che rompe gli equilibri per trovarne altri meno corrotti) deve far largo alla conservazione del proprio status quo di persona inevitabilmente sottomessa al potere politico ed economico. Realizziamo per un attimo ciò che sta causando la paura del contagio da Covid-19 (Corona Virus) in questi giorni.
L’altro, se prima non esisteva dialetticamente, adesso addirittura non esiste: il motto è salvarsi a discapito di tutto e di tutti. La paura del contagio! Ma credo che alla fine questa paura e rallentamento della quotidianità ci rafforzi e ci faccia capire quanto l’uno ha bisogno dell’altro. E magari ci aiuta a ripristinare la solidarietà, l’altruismo, a riscoprire le piccole cose, il senso dello stare in società; insomma, una vita meno frenetica, a passo d’uomo, con il dio denaro messo in secondo piano. Pensare in positivo, in questo frangente, non guasta.
Chiediamo ancora soccorso a Recalcati, questa volta da un punto di vista artistico. Parafrasando un suo articolo (Perché ci coglie la paura di fronte alla pagina bianca, in «la Repubblica.it», 24 aprile 2016) l’artista conservatore ha paura della pagina, della tela bianca o il silenzio di un teatro sono visti come incubi, tabù impossibili da violare. Per l’artista perverso la pagina, la tela e il silenzio non sono luoghi vuoti, puri spazi insaturi da riempire, ma nuovi orizzonti creativi. L’artista perverso sa che il vuoto in realtà è strapieno di segni, di storia, di sapere, che sono lì per la composizione di nuovi linguaggi da indirizzare verso la ricerca di una verità autre, non verso un godimento personale fine a se stesso o per aver ragione sull’altro con lo strumento della persuasione. Ma la verità è sempre soggettiva, quindi una falsa testimonianza.