Nella splendida cornice di Palazzo Zevallos, sito in Via Toledo, rivivono il Barocco di Salvator Rosa e Matti Preti, la “Scuola di Posillipo” di Giacinto Gigante e Anton Smink van Pitloo e l’impegno di tanti altri artisti che hanno fatto grande l’Italia e arricchito la cultura con le loro splendide testimonianze. Tra tutte, al secondo piano di Palazzo Zevallos Stigliano, nella raffinata Sala degli Stucchi spicca però un’opera in particolare, quella del Martirio di sant’Orsola, conosciuta come forse l’ultima opera di Caravaggio, che raffigura il momento culminante dell’uccisione di Orsola, appena trafitta dal dardo scagliato dal re unno Attila a cui non volle concedersi.
L’ultimo caravaggio
L’opera, dipinta nel 1610 alla fine del suo secondo soggiorno napoletano, commissionata dal collezionista genovese Marco Antonio Doria e spedita in tutta fretta ancora fresca di vernice: da qui la sua problematica storia conservativa. A Genova, con un’accoglienza tiepida, Il dipinto resta fino al 1832 quando, a causa di varie vicende ereditarie, rientrerà a Napoli.
La martire cristiana del IV secolo d.C. viene raffigurata dal Merisi come una veste diversa, lontana da quella agiografica tradizionale. Uno scenario crudo , reale,quella di una donna che difende la sua dignità ed è disposta a morire pur di difendere i suoi valori. Il re unno è raffigurato in chiave moderna ed è un uomo pentito per aver compiuto un gesto così efferato nei confronti di un’innocente. Il colore pallido della donna, affranta e rassegnata al suo destino, è di un bianco pallido quasi a metterne in risalto l’imminente e prematura morte.
Attila e i barbari
Tra i barbari al servizio di Attila, anch’essi raffigurati con abiti seicenteschi , raffiora anche lo stesso pittore che ,a mo’ di autoritratto, con la bocca aperta, esprime la sua incredulità per la sconsideratezza del proprio sovrano. Ed è la riproduzione, questa, anche dell’esistenza sofferta e inquieta del Caravaggio. Condannato a morte per un omicidio compiuto durante una rissa, l’artista, infatti, dovette sempre nascondersi per sfuggire alla pena capitale.
L’intera vicenda si ambienta probabilmente nella tenda del grande re unno. Visto il buio che domina l’ intera scena, tra colori vivi e il chiaroscuro enigmatico e mistico al tempo stesso del grande pittore milanese.