(Adnkronos) – Elisa De Marco è considerata la “regina del crime”: da anni attraverso i suoi seguitissimi canali racconta vicende di cronaca nera, misteri e casi irrisolti. Il suo podcast di successo ‘ELISA TRUE CRIME’, prodotto da OnePodcast, ha raggiunto in poco tempo le vette di tutte le classifiche ed è tra i più ascoltati in Italia, raccogliendo un ampio apprezzamento in un target di persone trasversale per età. Elisa De Marco è considerata la “regina del crime”: da anni attraverso i suoi seguitissimi canali racconta vicende di cronaca nera, misteri e casi irrisolti.
Il suo podcast di successo ‘ELISA TRUE CRIME’, prodotto da OnePodcast, ha raggiunto in poco tempo le vette di tutte le classifiche ed è tra i più ascoltati in Italia, raccogliendo un ampio apprezzamento in un target di persone trasversale per età.
Con l’Adnkronos ha scambiato qualche battuta dal Lucca Comics & Games 2023, parlando dell’efficacia del podcast come medium, dell’ispirazione per il progetto e del suo rapporto con il pubblico.
Il podcast è disponibile sull’app di OnePodcast e su tutte le piattaforme di streaming audio.
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– Podcast e video sono il mezzo più efficace per il tuo tipo di racconto? Quale preferisci?
“Da un lato il podcast permette all’utente di immergersi di più nella storia, non dovendo guardare, e potendo immaginare quello che si sta ascoltando. Ma da creator, in realtà spesso preferisco il video perché riesco ad esprimermi in maniera più naturale. Nonostante questo, credo che entrambi siano caratterizzati da un linguaggio molto immediato ed efficace”.
– La seconda stagione è dedicata a storie di “celebrities che dalla cronaca rosa si sono ritrovate sulla cronaca nera, da Marilyn Monroe a O.J. Simpson: c’è un caso in particolare (di celebrità o non) che ti ha spinto ad iniziare il podcast, o più in generale a raccontare il crimine?
“In realtà non ce n’è stato uno in particolare, anche se mi ha sempre colpito particolarmente la morte di Lady D. Ero piccola, ma credo sia uno di quei casi in cui tutti ricordiamo dove eravamo in quel momento. Forse se dovessi sceglierne uno, indicherei questo come quello che mi ha spinto a parlare anche di tutti gli altri”.
– La terza stagione ha raccontato le storie dei più spietati serial killer made in Usa, da John Wyane Gacy a Ted Bundy, da Richard Ramirez a Charles Manson: hai in programma anche una stagione dedicata ai grandi casi di cronaca nera italiani?
“Perché no? Anzi, a dire il vero qualcosa in cantiere c’è, ma non voglio dire troppo perché è ancora un work in progress. Però sì, ecco, ci sto pensando”.
– Nell’ultimo anno sono finiti in prima pagina, purtroppo, molti casi di femminicidi (aumentati nel 2023 in Italia). Spesso il movente è una relazione disfunzionale, o “amore tossico”, il focus della quarta stagione: quanto l’attualità ha un impatto su quello che racconti?
“Un impatto ce l’ha, per forza, però cerco sempre di non trattare i casi troppo recenti, quindi i casi che sono appena accaduti. Ovviamente non si può quando le indagini sono ancora in corso, ma soprattutto per rispetto nei confronti dei familiari della vittima, che potrebbero ascoltare il podcast o guardare uno dei miei video. Preferisco aspettare, a volte per sempre, perché non sempre arriva il momento giusto”.
– Recentemente la serie incentrata su Jeffrey Dahmer ha suscitato scalpore per la crudezza con cui sono stati rappresentati alcuni dei casi, ricevendo critiche soprattutto da parte dei familiari delle vittime. Ti è mai capitato per uno dei casi che hai raccontato?
“Fortunatamente no. È capitato che io venissi contattata dai familiari delle persone di cui parlavo nei miei podcast, nei miei video, però è sempre stato in positivo. Se mai dovessi essere contatta da un famigliare che mi chiedesse di rimuovere il video, perché c’è chi vorrebbe solo dimenticare, io lo farei”.
– C’è una linea che non superi? Volte in cui decidi che è meglio non parlare di alcuni casi?
“Cerco sempre di raccontare le cose nel modo più delicato possibile, e non voglio assolutamente fare sensazionalismo, soprattutto con le immagini nei video che produciamo ogni settimana. Capita spesso proprio di non inserire alcune immagini perché non lo riteniamo rispettoso, ed evitare appunto di fare sensazionalismo”.
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