La “mia” Parigi, come possa Parigi lasciare come ricordo vivo, più d’ogni altro, un incontro fortuito e di pochi attimi, non lo capirò mai. L’ho vissuta per tre anni. Ne ho assimilato la bellezza, non altrettanto lo stile di vita. Ricordo l’arrivo, erano le tre di notte di un giorno d’aprile del 1996. Arrivammo in auto, mio marito ed io, in Place de la Concorde. Era ancora buio, il silenzio, quasi totale, era rotto soltanto da rari taxi e mezzi della nettezza urbana. Poche le finestre illuminate.
Il primo parigino che vidi fu un ragazzo nero, intento a spazzare la piazza, i lampioni a luce rosa ne illuminarono lo sguardo allegro e dolcissimo. Ecco, questo, assieme al momento che ora descriverò, sono ancor oggi, fermi nella memoria. Erano già trascorsi alcuni mesi durante i quali m’ero innamorata della Senna, del Louvre, dei negozi e dei bistrot. Place du Tertre era meta giornaliera, crêperie compresa.
Avevo avuto il mio buon smarrimento alla vista di Amore e Psiche del Canova ma… Quella mattina, mi aspettava l’Emozione. Passeggiavo sul lungosenna, le bancarelle di libri costituivano l’Eldorado, potevo passarci delle ore, senza sentire altra pulsione che l’accarezzare e sfogliare pagine. Non era infrequente incontrare dei clochard – non possono mancare, come la pioggia, pare – ne vedo avanzare uno, il suo aspetto mi colpisce subito, non ha un cane a fargli compagnia, nemmeno la consueta accozzaglia di cose da spingere o trascinare con sé. Solo l’abbigliamento logoro ne denota l’appartenenza. Ha un’andatura sicura, nonostante l’età avanzata.
Quando siamo ad un passo, vedo i suoi occhi cerulei circondati da rughe sottili e fitte, i capelli bianchissimi, spuntare dal berretto di lana rosso. Siamo, ora, occhi negli occhi – ero triste quella mattina, sola; una pungente nostalgia di casa non s’era potuta attenuare, nemmeno vicino al fiume – gli sguardi si incrociano come due parallele scagliate e scombinate da una mano invisibile. L’uomo tende la mano sorridendo, gesto atteso. Frugo nella borsa, poi nelle tasche, non ho con me il portafoglio, nemmeno un centesimo disperso! (cosa assurda e mai accaduta).
Louis, così si chiama, mi osserva nella ricerca concitata, guardandomi tra divertimento e tenerezza. Allargo le braccia sconsolata scusandomi, nel mio francese arrangiaticcio. Gli tendo la destra per salutarlo e lui, con un inchino sapiente, mi fa il baciamano, pronunciando di seguito il suo nome. Chiede il mio. Mi guarda piegando il capo di lato e…
“Laura ne peut pas être triste aujourd’hui”… Infila la mano nella tasca interna della giacchetta e ne estrae una moneta da 1 cent, con un altro inchino, mi prega di accettarla. Non so descrivere cosa provassi in quel momento, avvicino il volto, voglio sfiorare la sua guancia. Si ritrae con garbo, e scuotendo la mano, se ne va tornando sui suoi passi. Rimango immobile con la mia emozione e il cent stretto in pugno. Non riesco a pronunciare il suo nome, vorrei chiamarlo. Nulla… Lo cerco senza successo nei giorni seguenti e per molto tempo. Quella piccola moneta, ciondola ora appesa ad un braccialetto dal quale mi separo raramente.
Foto di Laura Chiarina per Cinque Colonne Magazine