Nell’anno del cinquecentenario della morte di Leonardo da Vinci, Lorenzo Puglisi rende il suo personale omaggio algenio fiorentino presentando a Milano la monumentale e inedita opera pittorica Il Grande Sacrificio, lavoro appositamente realizzato per l’esposizione a cura di Giovanni Gazzaneo nella Sacrestia del Bramante in Santa Maria delle Grazie, dal 3 al 28 aprile 2019.
A poca distanza dal capolavoro vinciano cui è dedicato – la celeberrima Ultima Cena – il dipinto a olio su tavola di pioppo, realizzato da Puglisi nel 2019, si staglia nella Sacrestia in tutta la sua imponenza, sei metri di lunghezza e due di altezza. È l’opera più grande realizzata dall’artista: nell’abisso del nero emergono, nella purezza del bianco, le teste e le mani di Cristo e degli apostoli, in una sequenza ritmica e fluttuante.
L’artista ha dedicato al capolavoro vinciano un ciclo di opere che si inserisce in un percorso di dialogo, iniziato sette anni fa, con i grandi artisti del passato e con i loro capolavori.
Scrive Giovanni Gazzaneo: «La storia dell’arte Puglisi l’accoglie nella sua opera non attraverso la perfezione della compiutezza formale, ma offrendoci un’immagine aperta, libera di giocare nelle polarità del bianco e del nero, in un dinamismo che non conosce fine. Dove il nero non è solo orizzonte, tanto meno cornice: è sostanza stessa dell’opera. Dal buio emerge la presenza, una presenza che da quel buio è sostenuta e in quel buio prende vita: bagliori di luce, scaglie di pittura densa e fremente, come in movimento. Il nero invoca la luce e accoglie il generarsi della forma. E nella generazione della forma possiamo cogliere il senso del contemplare l’arte del passato da parte di Puglisi: l’opera non è morta, l’opera è viva, è feconda e il suo splendore attraversa i secoli e continua a illuminare gli uomini e il tempo. Uno splendore che si fa abbagliante per un’icona come l’Ultima Cena di Leonardo. Gli apostoli, ritratti di uomini veri colti in un turbine di emozioni e pensieri per l’annuncio inaspettato del tradimento – che si accompagna al miracolo più grande, l’offerta d’amore e di vita di Cristo nella consacrazione del pane e del vino – nella visione di Puglisi si fanno volti e mani di luce, quasi a formare una partitura ideale o forse una costellazione di stelle».
Nel discorso pittorico di Puglisi spazio, luce e figura si risolvono nell’antitesi drammatica della bicromia, con la conseguente sospensione del tempo e dello spazio, in un processo di semplificazione visiva che riduce la composizione dell’opera ai suoi elementi minimali e più profondi, in cui si concentra lo sguardo di chi contempla.
«Nell’Ultima Cena – spiega Puglisi – Leonardo ha lavorato su quello che più gli interessava, ossia il moto interiore dell’essere umano, la relazione tra gestualità, emozione e pensiero che poi vedremo espressi anche in opere come La Gioconda e La Vergine delle Rocce. È da qui che parte il mio tentativo di riguardare all’opera del Cenacolo, che credo rappresenti una summa di tutti i capolavori della storia della pittura occidentale. Nel 2016 ho presentato a Parigi il primo Grande Sacrificio (un metro e mezzo per cinque), cui hanno fatto seguito altri lavori di piccolo e grande formato su carta, tela, tavola e altri materiali incluso il metallo, con l’ambizione e la speranza che a ogni nuova realizzazione dello stesso soggetto il mio lavoro acquisisca maggiore intensità ed energia».
In tutte le opere di Puglisi, incentrate sul bianco e nero, emerge un forte simbolismo cromatico, che vede nel nero non l’assenza bensì la forza del colore (raggiunta attraverso continue stratificazioni) e la rappresentazione della condizione di preesistenza delle cose. Una sorta di caos primigenio dove la creazione è ancora in potenza, dove la materia contiene l’essere prima della generazione del cosmo e della vita. Senza buio non c’è luce, o come sostiene Mark Gisbourne «è dal vuoto più estremo o dall’oscurità che la visione può emergere»: infatti dal nero misterioso, dal buio assoluto dello sfondo che occupa tutta la tavola appaiono, abbaglianti e improvvise, figure composte da pennellate dense, bianche, con soli accenni, talvolta, di rosso e di blu. Fiotti di luce capaci di definire i volumi, i volti, le mani, i piedi, come presenze catturate in un’espressione o in un gesto, frutto di un lungo percorso verso l’essenzialità della rappresentazione. Ispirato dai grandi maestri come Leonardo, Caravaggio, Rembrandt e Goya, Lorenzo Puglisi illumina solo ciò che vuole evidenziare, frammenti che emergono dal buio per cercare la luce.
Scrive Alessandro Beltrami nel testo in catalogo: «Puglisi lavora per una completa rimozione del dettaglio. Da un parte con un nero che satura lo spazio, elimina qualsiasi contesto possibile e rende illecito ogni particolare. In un certo senso scarnifica il discorso di qualsiasi aggettivo, di inciso e di struttura complementare, per ridurlo alla proposizione base: soggetto-verbo. Dall’altra opera una ulteriore scarnificazione degli elementi sopravvissuti, tracciati con colpi e velature di colore bianco solo screziate di rosso o giallo: le teste e ciò che noi riconosciamo come parti anatomiche sono in realtà gesti pittorici compendiari che non “dettagliano” nulla o quasi di un volto o di un arto».
La mostra – che presenta anche due opere dedicate al tema della Passione di Cristo, Crocifissione del 2018 e Nell’orto degli ulivi del 2017, che trovano ispirazione in Velázquez, Rubens e Goya – è infine una rara occasione per ammirare la bellezza della Sacrestia del Bramante, normalmente non accessibile al pubblico, con tutti i suoi tesori, a cominciare dai dipinti che decorano le ante degli armadi cinquecenteschi e che, con le loro accese cromie, creano un dialogo tra antico e contemporaneo in uno dei luoghi più intensi e conosciuti di Milano.