– Sale: lo faccio. Pepe: non lo faccio.
Erano anni che Chiara usava quel rituale per prendere decisioni importanti, e non avrebbe fatto eccezioni per quel dilemma. Camminava a passo svelto, le mani infilate nel giubbotto di pelle, mentre i pensieri le si aggrovigliavano in testa. Sua sorella la aspettava al solito incrocio, appena la vide le andò incontro agitata.
– Allora, che è successo? Quando fai la misteriosa non ti sopporto, lo sai che mi fai preoccupare!
– Non qui, Ambra. Sediamoci un attimo: è importante.
La prese a braccetto e indicò una caffetteria dall’altra parte della strada, l’ideale per un pranzo veloce. Sedute al tavolino vicino alla vetrata, le ragazze parlavano fitto quando il cameriere servì piadine e insalata.
– Comincia dall’inizio, non ci sto capendo niente! – esclamò Ambra infastidita.
– OK, hai ragione. Un paio di mesi fa ho visto un bando su una rivista specializzata e ho risposto di getto, allegando le mie foto. Non ho ricevuto risposta, nemmeno una conferma di lettura. Fino a oggi. Stavo andando a lavoro quando mi è arrivata la mail, ho visto l’anteprima sul cellulare e mi è preso un colpo. Sono tra i vincitori di una borsa di studio per un master in fotografia: i fondi coprono il 75% della retta, sono sotto shock! Non te ne avevo parlato perché mi sono candidata quasi per gioco, non credevo avrebbero selezionato proprio me!
– Ma è grandioso Chiara, te lo dico sempre che la tua strada è quella; come sei finita a lavorare in un deprimente studio contabile per me è un mistero. Non si dica altro: rispondi immediatamente a quella mail e accetta!
– Aspetta Ambra, non ho finito: il corso è alla BTK di Berlino! Come ci vado a Berlino, io che non so una parola di tedesco? Dura tre semestri ed è presenziale, quindi dovrei lasciare tutto e trasferirmi in Germania. Non lo so, più ci penso più mi sembra una cosa troppo grande.
– Fammi capire: tu studieresti fotografia a Berlino, per un anno e mezzo, con una borsa di studio… e ci stai ancora pensando? Dammi il cellulare: mando io la conferma! Non ti azzardare a perdere quest’opportunità sister, ma quando ti ricapita?
– Lo so, cioè, non lo so… Dovrei partire tra qualche settimana, trovare un posto dove stare a Berlino, cercare un lavoretto per mantenermi. Non è che la borsa di studio copra tutte le spese, vacci piano con l’entusiasmo. E’ una scelta complicata, non so che fare. O meglio, lo so che devo fare: devo chiedere al sale.
– Ancora con questa fissazione? – Ambra aveva alzato la voce, sua sorella era davvero esasperante. Non ricordava quando avesse iniziato con quella ridicola mania, forse ai tempi delle scuole medie. Ogni volta che doveva prendere una decisione, doveva prima chiedere al sale.
– Sale: lo faccio. Pepe: non lo faccio.
Lo ripeteva come un mantra, affidandosi sempre a quello stupido giochino, la faceva impazzire!
Quel set sale e pepe Chiara l’aveva trovato da bambina nel cassetto della credenza. Sua madre non lo usava perché i recipienti erano perfettamente uguali: stesse dimensioni, stesso colore, stessi fori sulla parte superiore. Un difetto di fabbrica, le avevano spiegato, ma per lei era diventato prima un passatempo, poi una sorta di oggetto divinatorio.
Aveva riempito una boccetta con del sale finissimo e l’altra con pepe nero in polvere, per far sì che anche il rumore le rendesse impossibili da distinguere. Le custodiva in un sacchetto di velluto che si portava dietro anche in vacanza.
Ogni volta che era ferma a un bivio chiudeva gli occhi e rigirava solennemente i contenitori tra le mani. Poi ne sceglieva uno e lo capovolgeva con un movimento deciso. Se erano granelli di pepe quelli che fuoriuscivano, era il segnale che doveva fermarsi. Il sale invece era un lasciapassare, un frusciante, candido Sì, che la spingeva ad accettare nuove sfide e affrontare i cambiamenti.
Era così che aveva accettato il lavoro qualche anno prima; colpa del pepe se aveva rinunciato a uscire con il collega messicano.
Ambra le strinse con forza la mano:
– Questa volta no, Chiara. Hai 26 anni, non ti nascondere dietro quei portaspezie. Prendila tu questa decisione, e soprattutto dì di sì!
– La mia pausa pranzo sta per finire, devo tornare in ufficio. Prometto che ci penso e ne parliamo stasera. Tu piuttosto, non dovresti essere a lezione?
Un saluto veloce ed era già in strada, come sempre in fuga da una conversazione scomoda. Sua sorella la guardò allontanarsi con un velo di tristezza: pur essendo la minore, si trovava spesso a spronarla, a proteggerla, a sgridarla come la loro mamma non poteva fare più. Scosse la testa, lasciò qualche euro di mancia e uscì a passo deciso. Ma non tornò in facoltà.
Rientrata in ufficio, Chiara fissava il PC ma i suoi pensieri erano ben lontani dall’Excel che aveva di fronte. Giocherellava nervosamente con una ciocca di capelli mentre ripensava alle parole di Ambra. Sua sorella aveva ragione: doveva crescere una buona volta e imparare a decidere da sola. Prese un foglio dalla stampante e lo piegò in due. A sinistra i pro, a destra i contro. Iniziò dalla seconda colonna:
Contro:
Berlino non la conosco e non so se mi piace.
Non parlo tedesco.
E se non sono capace?
Diciotto mesi lontano da casa.
Pro:
Me la cavo bene con l’inglese.
Il BTK è una scuola d’arte sensazionale: è lì che ha studiato Miller.
La borsa di studio copre il 75% della retta.
Io AMO la fotografia.
Mettere nero su bianco quelle riflessioni avrebbe dovuto aiutarla a decidere, e invece si sentiva ancora più confusa. Accartocciò il foglio e sbuffò:
– Devo chiedere al sale.
Quando arrivò a casa era quasi ora di cena. Ambra era seduta a tavola e la guardava fisso.
– Allora? – chiese con un sorriso carico di aspettative.
– Non lo so. Ho cercato di fare una lista ma non ne vengo a capo – rispose nervosa. – Stanotte ci dormo su e domani decido.
– Chiara…
– Ambra per favore. Non ho bisogno di ramanzine e sguardi come quello. Non ne voglio parlare, dammi un respiro!
La cena fu tesa e sbrigativa, tennero la TV accesa per riempire i silenzi.
Chiara se ne andò in camera poco dopo, dando la colpa a un fastidioso mal di testa.
Che non aveva.
Fece girare la chiave nella serratura il più silenziosamente possibile. Il sacchetto di velluto era sempre lì, sul ripiano più alto della libreria. Tirò fuori saliera e pepiera e si sedette alla scrivania. Inspirando profondamente iniziò a rigirare le boccette, come mischiando le carte dei suoi personali tarocchi. Poi le allineò e chiese a mezza voce:
– Devo accettare la borsa di studio? Sale: lo faccio. Pepe: non lo faccio.
Lentamente sollevò il contenitore di sinistra. Lo soppesò, lo annusò e le parve di sentire il pizzicore del pepe. Lo capovolse con una punta di delusione… e invece no! Erano minuscoli, tondi, abbaglianti granelli di sale quelli che brillavano sulla scrivania. Ripeté il movimento con maggior energia ed eccola di nuovo: una scia sinuosa e scintillante che le diceva Sì !
Schizzò in piedi per tornare in cucina e andò a sbattere pesantemente contro la porta, che non ricordava di aver chiuso a chiave.
– Ambra io parto! Mi senti? Accetto la borsa di studio: me ne vado a Berlino!!!
Saltellava in cucina come una ragazzina; abbracciò la sorella che stava ancora lavando i piatti e la trascinò a ballare su una musica che solo lei sentiva, mentre l’acqua saponata saltava tutto intorno in un’improvvisata festa al profumo di limone.
Dopo quella sera il tempo sembrò accelerare. Lasciò il lavoro allo studio e passò le giornate a organizzare il trasferimento. In un paio di settimane aveva già sistemato volo, iscrizione al master e appartamentino in affitto in zona Potsdamer Platz, a soli venti minuti a piedi dalla scuola d’arte. Mise in valigia la moka, fotocamere e obiettivi, e per ultimo i preziosi portaspezie, sicura che le sarebbero tornati utili in terra straniera. I saluti in aeroporto furono festosi e carichi d’emozione. Ambra promise che l’avrebbe raggiunta a fine semestre, dopo l’ultimo esame, e sentì che sua sorella andava finalmente nella direzione giusta.
*****
Il Master si rivelò più esigente del previsto. Chiara faticava a prendere il ritmo ma non aveva ripensamenti. Si adattò ben presto al caos ordinato di Berlino, alle notti gelide e alle Lager scure.
Il suo appartamento era minuscolo e dopo qualche settimana la zona studio non le bastò più: aveva accumulato cataste di fotocopie, libri e raccoglitori. Decise quindi di spostare le due Canon sulla libreria in camera da letto: c’era ancora un po’ di spazio in alto, di fianco al sacchetto con le boccette di sale e pepe. Salì su uno sgabello per sistemare le fotocamere, ma con le mani occupate non riusciva a tenere l’equilibrio. Si inclinò pericolosamente all’indietro e diede una manata maldestra nel tentativo di aggrapparsi al ripiano. Le Canon erano salve, ma si era tirata dietro un portafoto, svariate candele e il sacchetto di velluto.
– Per fortuna c’è la moquette – borbottò mentre si massaggiava l’osso sacro. Controllò che i portaspezie fossero intatti e svuotò il sacchetto per ripulirne l’interno. Era pieno di granelli bianchi. Chiara strizzò gli occhi e rimase immobile per qualche istante. Poi raccolse le boccette e iniziò a scuoterle bruscamente. Non poteva essere vero! Da entrambi i contenitori usciva un fiume di sale: purissimo e setoso sale fino. Del pepe, invece, non c’era traccia.
A mille chilometri di distanza, Ambra si chiedeva se sua sorella avrebbe mai scoperto l’inganno. Era un pomeriggio di metà Novembre quando ricevette un messaggio sul cellulare:
– Sei un’imbrogliona, una truffatrice, una canaglia!
PS. Grazie, sister.