Nel settore del biologico il nostro paese si attesta fra i primi al mondo in termini di sviluppo, l’Italia, infatti conta circa 60mila aziende bio, volendo tralasciare che oltre un terzo di quelle europee hanno sede proprio in Italia. A livello mondiale ci attestiamo al quarto posto, dopo tre colossi del calibro dell’Australia, Cina e Argentina.
Si pensi che in Toscana si è passati da 430 aziende del 1994 a 2960 del 2005. La tendenza sembra essere soltanto agli esordi, in quanto, “biologico” non vuol dire solo agricoltura, ma allevamenti, pascoli e persino industria tessile. In base ai dati elaborati nel 2009 dalla Coldiretti SWG si può affermare che del 56% di chi compra prodotti biologici il 42% effettua acquisti saltuari, mentre il 14% li acquista quotidianamente.
Il dato, non è sicuramente trascurabile, con la conseguenza che quella che sembrava, negli anni passati, una tendenza d’élite oggi è alla portata di tutti, grazie alle grandi quantità di materie messe a disposizione anche dalle grandi catene di distribuzione. L’agricoltura biologica applica tecniche produttive che escludono l’utilizzo di prodotti chimici nelle varie fasi della coltivazione sino allo stoccaggio. Sono esclusi dal processo, dunque, tutti quei prodotto sinteticamente elaborati in laboratorio preferendo tutto ciò che deriva dal mondo naturale.
Questo sistema, da un lato preserva l’ambiente evitando ogni forma di inquinamento evitando lo spreco di risorse naturali e, dall’altro, produce prodotti estremamente “puliti”. Un’altra caratteristica importante della agricoltura biologica è l’esclusione degli organismi geneticamente modificati nonché la rotazione delle colture, tuttavia, da non trascurare il fatto che i prodotti biologici proprio perché privi di conservanti sono spesso soggetti a muffe e funghi che sono, comunque, dannosi per la salute. Per quanto concerne l’allevamento, la filosofia bio predilige quello all’aperto imponendo la nutrizione con mangimi che contengano una minima percentuale di alimenti di sintesi, al bando, ovviamente antibiotici e trattamenti artificiali per la crescita degli animali. Il prodotto biologico, per esser tale, deve essere composto almeno per il 95% da prodotti di coltivazione biologiche.
Tali prodotti sono contraddistinti dal Logo Biologico Europeo, una spiga verde sullo sfondo blu della bandiera dell’UE; oltre a questo, sulla confezione deve essere indicato il nome di un organismo di controllo autorizzato. Anche in Italia esistono organismi autorizzati dalla CEE e preposti al controllo delle produzioni biologiche, non basta, infatti che le aziende dichiarino di seguire le regole dell’agricoltura biologica ma devono sottoporsi a uno strettissimo programma di verifiche. A supporto della “conversione” all’alimentazione biologica, oltre che il bassissimo livello di agenti chimici nei prodotti così ottenuti, ci sono innumerevoli altri vantaggi. Oltre a rispettare i ritmi della natura e favorire, così, l’equilibrio delle sostanze nutrienti del prodotto, garantiscono anche una elevata qualità organolettica. I cibi bio, inoltre, anche se meno perfetti visivamente presentano una maggiore quantità di antiossidanti quali carotenoidi e flavonoidi molto importanti per la salute.
Se in precedenza il mangiare bio era una prerogativa di pochi eletti, oggi, è diventata una abitudine di tutti grazie alla distribuzione su larga scala e ai vari canali di commercializzazione che vanno dal singolo produttore alle grandi catene. Il costo di tali prodotti è più elevato, circa un 20/50% in più rispetto ai prodotti normali, tuttavia, la differenza deve rimanere bassa o quantomeno accettabile poiché se superasse determinate aliquote vorrebbe dire che o, la produzione è troppo complessa – e a questo punto sarebbe inspiegabile la produzione su larga scala- o che i produttori vogliano specularci su. Discorsi ideologici a parte, non bisogna pensare che gli alimenti non bio siano da considerarsi di serie B, la Legge Italiana, infatti, stabilisce limiti stringatissimi per l’uso di sostanze chimiche come additivi, conservanti e coloranti. E’ importante, dunque, a prescindere dalla scelta finale, che il consumatore abbia consapevolezza di quello che mette nel carrello, poiché esistono vantaggi e svantaggi sia per gli uni che per gli altri alimenti.