«È come quando vedi un musicista che interpreta un brano in modo tecnico, freddo rispetto invece ad uno che ci mette del suo. Può anche essere tutto “storto”, però ha un carattere, una storia.»
E la storia in questo caso è quella che mi racconta Alessandro, quella della liuteria napoletana del ‘700 che a Napoli non ha mai smesso di vivere. Ed è arrivata a noi grazie alle famiglie che da generazioni la portano avanti e rivive oggi nel sudore di chi questa tradizione cerca di rivitalizzarla, di personalizzarla. È questa la storia della Bottega Anema e Corde, che da 11 anni, nel cuore della Napoli antica, a Port’Alba trova il suo perchè, nel lavoro di Alessandro, Clara, Pasquale e Salvatore.
Cinque Colonne è andata lì, per capire il come e il perchè di questo progetto in itinere.
Alessandro, da dove nasce l’idea di associarvi e creare la bottega Anema e Corde?
Noi ci siamo incontrati ad un corso regionale che durava un anno. C’era la liuteria, ma anche altre materie come il disegno tecnico, storia della liuteria e degli strumenti musicali.
Vi siete conosciuti li allora?
Si, eravamo 16-18 persone, e noi sette, coetanei, abbiamo pensato di unirci e dar vita alla bottega, che inizialmente era la metà di questa, in sette condividevamo uno spazio di 35 mtq, non era facile. Lavoravamo in due su ogni banco. Poi si è liberato il locale di fianco e così ci siamo ingranditi, ora ognuno ha il suo, di banco. E poi chi si è sposato, chi per altri motivi se n’è andato e siamo rimasti noi quattro.
In che modo portate avanti la tradizionale scuola della liuteria napoletana?
Costruiamo violini e mandolini, poi da 4-5 anni anche chitarre e lo facciamo ispirandoci ai modelli della tradizione napoletana del ‘700. Parliamo di una tradizione che è andata avanti grazie alle vecchie generazioni fino a metà ‘800. È stata poi ripresa e portata avanti fino agli anni ’50-’60 del ‘900, per poi perdersi negli anni ’70-’80.
Come mai si è persa?
Beh gli ultimi liutai…chi è partito, chi ha smesso di lavorare o chi non ha avuto allievi, e quindi diciamo non ci sono più quelli della vecchia generazione.
Quali elementi di innovazione avete introdotto rispetto alla tradizione classica?
La liuteria, soprattutto per quanto riguarda i violini tende a copiare quella antica. Il violino del ‘700 è perfetto, più ti avvicini a quell’idea, meglio è. Non ci sono innovazioni in questo senso. Devi solo capire qual è il legno migliore, dove andare a prenderlo, come stagionarlo, come lavorarlo e come usare la vernice. Tutte tecniche, attrezzi che sono del ‘700, a parte la sega a nastro. Ma se l’avessero avuta, avrebbero usato anche quella! Anche per il mandolino si utilizzano le tecniche antiche, quindi tendenzialmente non c’è un innovazione. È uno studio del legno, dei materiali decorativi, delle proporzioni.
Dove prendete il legnoe e quale utilizzate?
Noi usiamo quello della Val di Fiemme, e in genere valli in provincia di Bolzano, Trento. Usiamo l’abete di risonanza che è quello che usavano nel ‘700 e anche prima per tutti gli strumenti musicali.
Invece l’acero viene dalla zona balcanica, noi lo prendiamo dalla Bosnia tramite ditte che hanno le loro sedi nel nord Italia.
In che modo va avanti l’attività nel panorama partenopeo?
Il nostro lavoro si concentra tra restauri e costruzione di strumenti. L’Italia non ha un idea della musica come investimento. Le famiglie hanno più difficoltà oggi a pensare di spendere migliaia di euro per comprare uno strumento al figlio che secondo loro “adda pazzià” con la musica. Invece in altri paesi come in Francia, Germania, la musica è un argomento culturale.
Che mestiere fai? Il musicista. No, ma di mestiere, che fai? Capisci, è diverso.
Anche dalla Germania hanno comprato strumenti da noi, e sono amatori, non strumentisti di teatro. Te lo immagini qui l’amatore che spende migliaia di euro per comprare lo strumento che suona con gli amici? È ovvio che preferisce comprare la chitarrina nel negozio.
Quindi quello che maggiormente fate qui a Napoli sono i restauri.
In città si, però abbiamo contatti anche con Stati Uniti e Giappone dove spediamo a clienti e commercianti che abbiamo incontrato alle fiere.
Quante fiere fate in un anno?
Due. Una a Cremona a fine settembre dove viene gente da tutta Europa, ma anche dall’Asia e una a Francoforte verso marzo – aprile. Poi ce ne è una a Parigi dove sono stato solo in visita, che però è piccolina, poco aperta, ci sono solo francesi.
C’è molta competizione durante le fiere?
Ma non hai tempo di capirlo, la gente viene, prova gli strumenti. Lì poi siamo gli unici napoletani. Il discorso è che qui in Italia noi siamo “i napoletani” mentre all’estero siamo “italiani”.
Cosa intendi?
Che se sei napoletano per loro non puoi essere un liutaio esperto. Ma in realtà è l’idea sulla lavorazione che differisce. Loro ci tengono molto all’estetica dello strumento che deve assomigliare perfettamente a quel modello, quasi tutti i liutai cremonesi fanno gli strumenti stradivari, che certo sono bellissimi, ma se togli l’etichetta di chi l’ha fatto non lo riconosci più, non sai dire chi l’ha creato.
E invece i vostri?
Pochi fanno il modello napoletano del ‘700 a parte noi, qualcuno anche in Toscana ha questa passione. Però è chiaro che a Cremona tendano a fare quelli della tradizione cremonese. Ma il nostro è uno spirito diverso, personalizzato proprio come era nel ‘700. Se infatti vedi 4 strumenti napoletani, sono 4 autori diversi e sono 4 strumenti completamente diversi sia per l’estetica che per il taglio delle “ff”, del riccio, la vernice, la forma, questo perchè lo facevano con un gusto loro. Mentre invece Stradivari era un intagliatore e dunque si interessava molto della questione estetica, della filettatura, del riccio. Ma qui era diverso, a volte gli strumenti antichi napoletani erano storti, eppure avevano un loro fascino, come se si fossero fatti da sè. È una bellezza della verità.
Secondo te, cosa significa essere artigiani oggi, in questo panorama culturale di degrado, dove anche le librerie storiche come Guida chiudono?
Avendo investito tanto nelle fiere, il discorso del degrado culturale non ci tocca tanto. Quando qui viene un musicista da Vienna per provare un tuo strumento, hai una gratificazione enorme.
Pero non è un lavoro che ti da una certezza economica, è una scelta di vita.
Ma la figura dell’artigiano è una figura povera, non è quella del ricco commerciante. Certo devi vendere lo strumento però in generale non puoi aspirare a grandi guadagni. L’artigiano è sereno nella vita perchè costruisce qualcosa che ha un significato dall’inizio alla fine, dall’albero, e si trasforma nelle mani, fa cose che lo avvicinano alla natura. Non è come fare un bullone senza sapere dove andrà. Quindi se ti concentri su questo sei più soddisfatto di molti manager straricchi. Il prodotto è vivo.
Si riflette questo modo di lavorare con i clienti?
A volte si, a volte no. La gente è strana. Ha diversi modi di pensare, molti personaggi sono pieni di sè. A volte alcuni non sanno suonare e credono che la colpa sia dello strumento. La musica è anche umiltà.