La notte tra il 12 e il 13 marzo, su Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, è piovuta una cascata di missili balistici. La zona colpita si trova in periferia, molto vicino al consolato americano. Il lancio dei missili è stato rivendicato dall’Iran e più precisamente dal Corpo delle Guardie Rivoluzionarie iraniane. L’esplosione, per fortuna, non ha fatto vittime ma è un segnale chiaro. L’attacco non è avvenuto, come si suol dire, a ciel sereno sia considerando che, nell’ultimo anno, Erbil è stata più volte attaccata, sia considerando il contesto europeo di queste ultime settimane. Stavolta, il nodo da sciogliere è l’accordo per il nucleare iraniano.
Dove eravamo rimasti
Esattamente un anno fa scrivevamo di come l’accordo per il nucleare iraniano avesse subito uno stop and go con l’alternanza alla Casa Bianca di Trump e Biden. La ripresa dei negoziati era stata scandita da un tira e molla per chi avrebbe fatto il primo passo nel rassicurare il disarmo o nell’abolire le sanzioni. A complicare il tutto si era aggiunta la morte dello scienziato nucleare iraniano Mohsen Fakhrizadeh. Morte che l’Iran addebitava a Stati Uniti e Israele. Una nuova ripresa dei negoziati a fine anno non aveva fatto registrare grossi passi in avanti.
Lancio di missili dall’Iran (e non solo)
Con il 2022 si erano intravisti degli spiragli di luce. Le trattative in corso a Vienna avevano iniziato a dare buoni frutti. Il presidente americano Biden aveva accettato di sospendere le sanzioni a Teheran, Usa e Iran erano vicinissimi a un accordo. O almeno così riferiva la delegazione diplomatica iraniana al lavoro a Vienna. Fatto sta che a metà febbraio le questioni più spinose erano state superate e mancava solo stabilire gli ultimi dettagli per giungere a un accordo definitivo. L’invasione dell’Ucraina da parte di Putin ha poi messo sulla strada un nuovo ostacolo.
La nuova base negoziale
L’ostacolo si chiama sanzioni con il riferimento a quelle scattate nei confronti della Russia subito dopo l’attacco all’Ucraina. Putin, in poche parole, non vuole che le sanzioni imposte al suo Paese riguardino anche la possibilità di avere rapporti con l’Iran. Rapporti non solo di natura commerciale ed economica, ma anche tecnico-militare. La questione che ora si trovano ad affrontare i negoziatori si complica ancora di più. Se Putin potrà contare ancora sulla collaborazione economica e militare del suo alleato orientale che peso avranno sul suo Paese le sanzioni imposte dall’Europa? Se i negoziatori non vorranno piegarsi al veto di Putin quando si raggiungerà (se si raggiungerà) l’accordo per il nucleare iraniano? Una domanda pregnante se si considera che in questo tempo di stop dell’accordo l’Iran è arrivata ad arricchire l’uranio al 60% (la soglia massima è il 90%). Quante Erbil avremo ancora?