Fermarsi e chiedersi come sia iniziato tutto ciò che oggi vediamo accadere quotidianamente è stato naturale e, man mano, con il percorso in flashback ritornavano prepotenti le scene che tutti abbiamo nella mente
“In principio fu” doveva essere l’incipit di questo pezzo ma, andando a ritroso con la memoria e con la consultazione delle varie carte d’archivio, il problema forte è stato non riuscire a risalire a quel principio. L’intento era quello di buttare giù un articolo sulla cronaca di questi giorni, sulle ruberie alla regione Lazio, e immediato è comnciato il viaggio a ritroso a perdita di memoria: da Fiorito a Lusi, a Belsito, a Formigoni, a Penati e via via quello che doveva essere un percorso diventa una lista così enorme da prendere da sola, solo con il suo triste elenco, tutto lo spazio a disposizione per l’articolo. Fermarsi e chiedersi come sia iniziato tutto ciò che oggi vediamo accadere quotidianamente è stato naturale e man mano con il percorso in flashback ritornavano prepotenti le scene che tutti abbiamo nella mente (qualcuno più nascosto, qualcuno meno) di quando per la prima volta si cominciò a parlare del sistema delle ruberie dei partiti politici e dei singoli ‘rappresentanti del popolo’: il 17 febbraio 1992, quando a Milano su iniziativa di quello che poi fu il “pool mani pulite” si acciuffava il ‘mariuolo’ socialista Chiesa al Pio Albergo Trivulzio. La Rivoluzione Mancata l’ha definita qualcuno molto più arguto di noi Mani Pulite; quell’incihiesta che mise a nudo per la prima volta in maniera organica e senza falsi pudori l’incestuoso rapporto fra politica ed economia nel nostro Paese. No, non staremo qui a tessere le lodi o a distruggere Tangentopoli ma solo a citarla come punto necessario di partenza, o almeno quel punto fermo alla ricerca del quale siamo andati a pescare nella memoria singola e collettiva. Sì, doveva essere il ‘big bang’ da cui far rinascere un sistema politico italiano diverso e pulito da politcanti da quattro soldi e imprenditori tali solo per nome o per censo e anche il momento focale per voltare pagina e approdare, forti degli errori subiti sulla propria pelle, a un’ Italia migliore. Invece, citando in ordine sparso non esaustivo e non cronologico, ci siamo ritrovati a Palazzo Chigi i Giuliano Amato, i Massimo D’Alema, i Lamberto Dini, i Romano Prodi 1 e 2, i Silvio Berlusconi 1,2 e 3, fino all’attuale Mario Monti. Ci aspettavamo il ‘nuovo’ e ci siamo riciclati (una delle poche cose che abbiamo riciclato invece dei rifiuti) il vecchiume politico più assoluto alternandola alla nouvelle politique di provenienza arcoriana che nacque dell’utriana/previtiana e morì sciolta nello decadente burlesque di stato. Ora, prima nell’opulenta lombardia pidiellina e leghista, ma anche ‘penatiana’ su sfondo rosso sbiadito stile pd; quindi nell’indolente Lazio anch’esso pidiellino e ‘polverino’, fino alla Campania (news dell’ultimissima ora) tardo pidiellina e stravagante la scure della Guardia di Finananza coglie ‘mariuoli’ a vario titolo con le mani nella marmellata in ogni dove. Sono i “Tesorieri”, i “Capigruppo”, esponenti del ventre molle della nostra democrazia gridano i media nazionali cercando di convincerci che non è il sistema che non va ma singole mele marce che vanno gettate via dal paniere per non infradiciare anche la frutta buona rimasta. Sono passati venti anni e la canzoncina della mela marcia è sempre in testa alla hit-parda della italiota notizia a buon mercato. Venti anni e una crisi economica mondiale di proporzioni bibliche e il refrain della mela marcia ritorna continuamente in auge che neanche il buon Branduardi sarebbe stato capace di tanto successo in tanti anni. Se si accenna solo al tentativo di iniziare una seria disamina globale che investa questo ceto politico e tutti i suoi giannizzeri economici e mediologici allora scatta la bolla di scomunica come portatore di ‘antipolitica’. Se si sottolinea che la gente comune è affamata e politici a tutti i livelli ingrossano i loro portafogli con denaro pubblico elargito a piene mani: è antipolitica. Se si denunciano gli sprechi a tutti i livelli della gestione della cosa pubblica: è antipolitica. Se si mette in evidenza che esiste un abisso fra elettori ed eletti (invero ignobilmente nominati) in parlamento e oltre: è antipolitica. Se si fa notare che non sono i giochi dell’alta finanza (quella falsa e di carta) e le beghe dell’informazione protetta a interessare le persone ma l’economia reale e la possibilità di conoscere una notizia (una di numero) vera da quasiasi parte essa provenga: è antipolitica. La domanda con cui ci alziamo dalla scrivania allora è una sola: se tutto e il contrario di tutto sono antipolitica; se il nuovo a sinistra è Renzi, e se il nuovo a destra continua a chiamarsi Berlusconi; se il nuovo della Lega si chiama Maroni; e se si vuole creare l’ennesimo nuovo centro del centro in centro con Casini; ma allora l’antipolitica è proprio una risposta sbagliata? L’allontanamento e lo scollamento del cittadino da questa politica non è addirittura logico? Allora politica ed antipolitica sono due facce della stessa medaglia, due categorie che definiscono mondi liquidi che si mischiano e solidificano a comando e una falsa dicotomia da cui non si esce, da cui non si può uscire se non rompendo gli schemi ma quanti sono davvero disposti ad arrivare a questo? Quanti sono disposti a mettere in gioco le loro certezze e le loro comode letture della vita vista sempre dal lato di sopra e mai da quello di sotto?
Gianni Tortoriello