L’indignazione una volta era un bello e nobile sentimento che denotava un animo allergico ai torti ed alle ingiustizie che la vita non ha mai lesinato a nessun abitante di questa terra da che mondo è mondo. Un sentimento giusto provato da giusti che cercavano sempre e solo la giustizia. Quella giustizia che, forse, non è proprio delle cose terrene, invece.
Due notizie che non c’entrano nulla e non hanno nessun punto di contatto, nella loro essenza ma non nel modo in cui sono state vissute dalla pubblica opinione che è molto sovrapponibile, che sono balzate agli onori delle cronache negli ultimi giorni: la tragedia della funivia del Mottarone e la liberazione per fine pena di Giovanni Brusca.
Il punto dolente, o meglio i punti dolenti in ballo sono due e – guarda caso – sempre gli stessi: la giustizia e l’informazione.
L’indignazione sulla vicenda del Mottarone
La vicenda del Mottarone, sconcertante sotto molti punti di vista e pregna di un dolore inaudito per la perdita di tante vite umane, ha segnato un’altra pagina al limite del vergognoso per il modo italiano di fare informazione in questi casi e per come è stata raccontata la vicenda giudiziaria che ne è normalmente scaturita.
Ovviamente l’indignazione l’ha fatta da padrona quando il Gip ha scarcerato due dei tre indagati; si è gridato allo scandalo, si era già creata la forca pronta per i predestinati dalla Procura, il tutto ovviamente nell’immaginario collettivo martellato da un’informazione più che drogata potremmo dire dopata, ingigantita all’ennesima potenza non già dai dettagli giuridici del caso ma dalla enorme pressione sull’opinione pubblica data dall’onda emotiva scatenata dalla morbosità di ore ed ore di immagini girate intorno alla carrozza accartocciata, alla fune spezzata, alle foto delle inconsapevoli vittime, del bambino in ospedale sospeso fra la vita e la morte (con tanto di inviati sul posto h24 e connesse interviste in paesi, boschi e anfratti vari locali).
Informazione patinata e costruita che affonda a piene mani nel dolore spettacolarizzando a colazione a pranzo e a cena, in ogni notiziario, in tv, in radio, sul web rimestando continuamente nella rabbia per creare odio e rancore da riversare su chi – a torto o a ragione – è protagonista giudiziario della vicenda.
Il Gip quando ha emesso il suo verdetto è stata trattata come un marziano, un alieno incomprensibile senza arte né parte!
Troppo assuefatti un po’ tutti alla commistione dei ruoli in magistratura ed assolutamente inclini alla giustizia sommaria accogliamo le parole di Pm come oro colato e denigriamo quelle del Giudice di turno perché di segno contrario come se la giustizia ormai fosse una specie di reality dove si procede per nomination ed eliminazioni. Dimentichi, o magari solo ignoranti, che il ruolo di Pm e Gip non devono convergere anzi, tutt’altro. Sono delegate queste due figure – si figure giuridiche non personaggi come molti credono o si credono – a due compiti ben distinti: i primi ad individuare e proporre una tesi e i secondi a giudicare se quella tesi ha fondamento oppure no, se è basata su prove oppure no.
Sbattere gente in galera e confermare questi provvedimenti dovrebbe essere in ogni caso come un atto sul quale riflettere e non poco e valutare il risvolto non secondario di aggiungere vittime alle vittime perché quelle persone – a prescindere da come andrà a finire la vicenda una volta accertata la verità – saranno state maciullate nel tritacarne mediatico innestato da quelle inchieste.
L’abbraccio mortifero fra Procure e Redazioni di giornali, o singoli componenti delle une e delle altre, che portano i processi non nelle aule giudiziarie ma sulle pagine morbose dei giornali, nelle presunte aule di improbabili programmi televisivi, sul web dove tutto ha sede e tutto è imperituro non volge alla ricerca della verità e della giustizia ma alla creazione, appunto, dell’indignazione un tanto al chilo.
L’indignazione sulla vicenda Brusca
Quello che è accaduto oggi riguardo a Giovanni Brusca è l’esatta cartina di tornasole di quanto or ora detto. Stiamo parlando di una persona che – al netto di giudizi morali personali e collettivi più o meno condivisi- ha pagato il suo debito con la giustizia con 25 anni di carcere ed alla scadenza della pena viene scarcerato.
La legge sui pentiti di mafia fu voluta da Giovanni Falcone proprio per fare brecce nella muraglia di omertà dell’ambiente e i suoi innegabili frutti li ha portati e sono sotto gli occhi di tutti. Cosa ha fatto, la gravità di quello che ha fatto lo hanno già esaminato i giudici che comminarono la pena, stop.
La legge è giusta? E’ ingiusta? non è questo il parametro con cui va valutata ma rispetto ai risultati che ha dato.
Cavalcare l’onda dell’indignazione ‘cui prodest’? “Ai posteri l’ardua sentenza” potremmo dire in un calabuig senza soluzione di continuità, in realtà sappiamo bene chi ne beneficia: coloro che propugnano l’idea dell’uomo solo al comando, della pochezza della democrazia, della governance poco chiara del potere giudiziario, della sottomissione dell’informazione e del suo asservimento al potente ed al potere di turno; a chi da sempre fa di tutta l’erba un fascio perché tutti cattivi equivale a nessun cattivo.
Bisognerebbe istituire il reato di procurata indignazione e punirlo severamente, questo si, senza distinzione di sorta fra operatori della giustizia e dell’informazione. Solo così ci potremo riappropriare di questo sentimento che ci hanno espropriato, nemmeno proletariamente.