L’intervento armato in Libia sembra essere dietro le porte. A dar man forte, oggi la richiesta del Presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi di una risoluzione delle Nazioni Unite per autorizzare l’intervento militare di una coalizione internazionale. Nel frattempo l’Egitto è passato all’azione, bombardando alcune aree a Derna, nella zona nord della Libia.
L’attacco egiziano. È questa la risposta del governo egiziano allo Stato Islamico che aveva diffuso il video della decapitazione di 21 copti egiziani catturati a Sirte due mesi fa. Otto i raid effettuati all’alba, in mattinata e nel primo pomeriggio, con l’obiettivo di colpire le postazioni dell’Isis “con precisione” come dichiarato dalle forze armate egiziane, tuttavia come ha riportato Al- Jazeera i bombardamenti avrebbero colpito anche aree residenziali provocando sette vittime civili, tra cui tre bambini. Omar Al-Hassi, premier del governo “ribelle” di Tripoli di “salvezza nazionale” come da lui definito, ha accusato l’Egitto di terrorismo dichiarando:
«Questo attacco orribile e questo terrorismo che è stato condotto dai militari egiziani rappresenta una violazione della sovranità in Libia ed è una chiara violazione del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite».
Dopo Gheddafi. È caos dopo la fine del dittatore inviso all’Occidente ma che era riuscito in parte a sganciarsi dalle mire colonialiste, nazionalizzando il petrolio e portando avanti un panarabismo che proteggesse gli interessi africani al cospetto dei colonizzatori francesi, inglesi e non ultimi agli “esportatori di democrazia” americani. Le motivazioni dell’intervento francese nel 2011 non avevano nulla a che fare con gli scrupoli umanitari, ma piuttosto con interessi economici, come lo stesso Prodi si è lasciato sfuggire durante un intervista.
Da allora il paese è stata gestito da vari governi di transizione non senza divisioni e scontri tra le diverse fazioni paramilitari. Le prime elezioni politiche nel luglio 2012 portarono al governo le forze liberali di Mahmud Jibril. Le successive elezioni, avvenute due anni dopo, nel luglio 2014, hanno premiato ancora i liberali ed è salito al governo il primo ministro Abdullah al Thani, riconosciuto dalla comunità internazionale, insediatosi a Tobruk. Alcune milizie islamiche però non hanno riconosciuto i risultati, formando a Tripoli un proprio governo il cui premier è Omar Al-Hassi. L’attentato poi dello scorso mese all’hotel Corintia di Tripoli ha fatto precipitare la situazione. Attentato che è stato rivendicato dall’ISIS, ma secondo il capo del governo tripolino Omar al-Hassi sarebbe stato ordito da Abdullah al-Thani per dimostrare l’instabilità che regna all’ovest.
La minaccia dell’ISIS. In un clima di instabilità politica gli esponenti dell’ISIS hanno preso lo scorso ottobre il controllo del porto di Derna, nell’Est del Paese e successivamente Sirte. Quattro anni dopo quella rivoluzione annunciata come democratica la Libia è sul punto di non ritorno, come l’Europa, che tenta di destreggiarsi tra la crisi Ucraina e quella in medio oriente. L’intervento militare italiano, paventato dal Ministro Gentiloni è stato frenato, nonostante l’allarmismo del premier libico a Tobruk. Anche l’ambasciatore italiano in Libia, Giuseppe Buccino Grimaldi, ha precisato «Dire che Sirte e Tripoli sono in mano allo Stato islamico (Is) è assolutamente sbagliato. La situazione è certamente grave ma non dobbiamo drammatizzarla».