La libertà di stampa è uno di quei diritti che sembra acquisito ma non sempre è così, anzi molto c’è da fare ancora.
Ogni giorno, ormai, si celebra una giornata mondiale dedicata a qualcosa tanto che queste giornate sono divenute così inflazionate da essere completamente svuotate di ogni significato pur anche solo simbolico. La giornata mondiale di oggi, che risulta essere in omaggio alla libertà di stampa, non si esime da questo cliché ma almeno può essere spunto per qualche riflessione nel merito.
Lasciamo perdere d’emblée tutta la solfa sulla classifica della distribuzione geopolitica della libertà di stampa – che pure vede l’Italia non certo primeggiare e non è superfluo sottolinearlo – e soffermiamoci, invece, ad una seria riflessione sull’informazione nel nostro Paese (volendo anche negli altri ma egoisticamente c’interessa ovviamente il nostro).
Michele Santoro, rinomato giornalista che tutti conosciamo anche per il suo impegno civile, proprio nelle utime settimane nella sua ultima apparizione televisiva per presentare il suo ultimo libro sottolineava – amaramente ma lucidamente – come in Italia non si faccia quasi più informazione ma comunicazione scoperchiando un vaso di Pandora atavico che non può non mettere in luce tutte le discrasie della libertà di stampa per come è concepita e praticata nel nostro Paese, ma non solo aggiungiamo noi.
Questa affermazione è di una gravità inaudita perché evidenzia due cose fondamentali: la perdita di autorevolezza e di obiettività, dovuta dal carattere intrinseco di terzietà, dell’informazione che da scomoda fustigatrice del potere si trasforma in comoda comunicazione che per sua natura è di parte, soggettiva e personalistica.
Non ci si occupa più dei fatti quanto, invece, delle opinioni. Non si fa più inchiesta irriverente e vera ma ci si dedica al gioco della pubblicazione delle veline; assurge a potere l’ufficio stampa e perde di ogni valore e considerazione il cronista. Questo è quanto è accaduto in Italia ed accade tutti i giorni in tutte le redazioni di giornale; certo con diverse modalità e diversi costrutti ma è sempre lo stesso gioco che si perpetua.
Voci indipendenti che fanno informazione vera in giro non ce ne sono più? Certo che no, ma fanno sempre più fatica a trovare una collocazione che dia loro dignità di espressione e possibilità di arrivare ad un target ampio e diffuso.
Non lasciatevi ingannare, questa non è una degenerazione avvenuta ora ma ha radici abbastanza lontane nel tempo se si pensa che un acuto osservatore della realtà quale fu Giorgio Gaber scriveva nel 1982 così del giornalismo italiano:
Compagni giornalisti avete troppa sete E non sapete approfittare delle libertà che avete Avete ancora la libertà di pensare Ma quello non lo fate E in cambio pretendete la libertà di scrivere E di fotografare Immagini geniali e interessanti Di presidenti solidali e di mamme piangenti E in questa Italia piena di sgomento Come siete coraggiosi, voi che vi buttate Senza tremare un momento Cannibali, necrofili, deamicisiani e astuti E si direbbe proprio compiaciuti Voi vi buttate sul disastro umano Col gusto della lacrima in primo piano Io Se Fossi Dio - Giorgio Gaber 1982
La deriva dell’informazione in Italia, ma anche nel resto del mondo occidentale, coincide con l’utilizzo improprio e distorto della stessa da parte dell’operatore dell’informazione: il giornalista.
Questo è insito nel momento in cui si è scelto di spettacolarizzare la notizia per renderla appetibile ad un immaginario collettivo sempre più ammantato di pruderie e informato al voyeurismo più spinto.
L’informazione, vitale in ogni democrazia che si rispetti, viene così asservita alla logica del mercato invertendo il processo: non più il giornalista che si fa mezzo vivo per far arrivare la notizia al pubblico indipendentemente dai gusti dello stesso ma tante indagini di marketing che indirizzano il lavoro dell’informazione che deve uniformarsi alle preferenze del pubblico.
Unitamente a questa svalutazione della libertà di stampa nella sua essenza, nel suo oggetto primario: la notizia, si associa una seconda degenerazione che consiste nell’allineamento dell’informazione al potere costituito. Attenzione, quando parliamo di potere non intendiamo solo quello politico sempre più contiguo all’informazione in maniera palese ma tutti gli altri poteri: da quello economico a quello giudiziario.
Libertà di stampa: l’abbraccio mortale con il potere
Si pensi all’aberrazione cui siamo giunti, ormai, di processi fatti sui giornali e non nelle aule di tribunale ed alla pessima abitudine delle “fughe di notizie” dalle Procure – che non ricercano più la verità ma semplici prove a supporto di tesi – che creano mostri da sbattere in prima pagina arrivando a condanne all’emissione di semplici avvisi di garanzia, che confondono l’indagato con l’imputato e con il condannato in una massificazione oltre che immorale molto pericolosa.
Il giornalista oggi non si prende più la briga di cercare la notizia aspetta che questa arrivi a lui da canali ufficiali e meno.
L’abbraccio fra il potere e l’informazione è sempre mortale per questa che, nel momento stesso in cui accetta di diventare il cagnolino da compagnia del potere e non chi fa le pulci allo stesso, non ha più senso di esistere.
Si dirà che oggi l’informazione è diventata altro per l’azione della Rete che ha tramutato il carattere della stessa da top-down in bottom-up. L’informazione non è più calata ma sale, dunque, portando alla negazione della necessità dell’esistenza della figura del giornalista con la sua azione da ‘demiurgo’. In realtà la professionalità è il discrimine fondamentale che non dovrebbe mai essere dimenticato e men che mai accantonato.
L’informazione ‘ popolare ‘ somiglia molto al vecchio ‘ tribunale del popolo ‘ che può avere tutte le qualità che si vogliano trovare ma in realtà è accozzaglia sommaria, marmellata mediatica, buona solo per placare la sete di “sangue” che la ‘besthia’ vuole per nutrirsi.
Recuperiamola questa libertà ed usiamola bene, perpetuiamone il suo significato più alto. Solo così le renderemo onore.