E’ duro il monito del Consiglio Europeo rivolto all’Italia in materia di aborto e, altrettanto energico è stato l’intervento del segretario Cgl Susanna Camusso sul documento europeo:: “E’ un atto forte che sancisce un diritto fondamentale e incontrovertibile per le donne: quello della libertà di scegliere della propria vita e del proprio corpo, con un’assistenza sanitaria adeguata, come prevede la legge.
Appare significativo e simbolico che il Consiglio renda nota la propria posizione nel giorno della commemorazione femminile dell’otto Marzo, a dimostrazione del fatto che i diritti sanciti dalle leggi 194 e 40 non possono essere considerati reversibili e, se messi in discussione necessitano di un intervento forte e decisivo.
Diverso il parere della deputata di Ncd Eugenia Roccella, ex sottosegretario alla Salute durante il governo Berlusconi IV, nel periodo tra il 15 dicembre 2009 e 16 novembre 2011 che afferma: “Il documento è un pronunciamento del tutto immotivato e pretestuoso, frutto di una non conoscenza dei dati italiani”.
Per la deputata, il Comitato Europeo sui diritti sociali sarebbe un organismo che avrebbe emanato un documento contro l’Italia sostenendo che i medici obiettori di coscienza ostacolino l’attuazione della legge 194 rimarcando il fatto che, lo stesso Consiglio D’Europa, avrebbe approvato nel 2010 una risoluzione in difesa del diritto all’obiezione estendendolo alle Istituzioni.
La questione morale relativa all’interruzione della gravidanza nasce dalla considerazione etica e scientifica dell’embrione.
Altrettanto evidente è che il nocciolo della questione si svolga intorno a quell’articolo della 194 che prevede la possibilità, per gli operatori sanitari, di sollevare obiezione di coscienza ed essere esonerati dalla procedura abortiva.
All’epoca del varo della norma l’introduzione dell’obiezione era imprescindibile, i ginecologi dovevano poter scegliere avendo intrapreso la professione in un contesto sociale e culturale che non prevedeva l’aborto, tuttavia, le percentuali di obiezione di coscienza sembrano diventate oggi molto in espansione. In molte strutture il servizio è davvero assicurato?
E’ in questo quadro che può essere inserita l’esperienza di Valentina Magnanti una donna di 28 anni che ha partorito un feto di 5 mesi nel bagno di un ospedale romano.
La storia è stata raccontata dall’avvocato Filomena Gallo dell’Associazione Luca Coscioni in una conferenza stampa sulla decisione del Tribunale di Roma in materia di fecondazione assistita lo scorso 11 Marzo.
Valentina è una donna affetta da una patologia genetica trasmissibile molto particolare, nel 2010 resta incinta e, conscia dei rischi, decide di affrontare la gravidanza. Si sottopone a villocentesi e scopre che la bambina è affetta da una grave malattia e, su consiglio della struttura sanitaria, decide di interrompere la gravidanza.
La donna racconta : “Abbiamo trovato una ginecologa disposta a firmare il foglio di ricovero, dunque non obiettrice, ho atteso tre giorni che arrivasse il suo turno di servizio, perché tutti gli altri medici erano obiettori e non disposti a praticare l’interruzione nonostante la situazione di urgenza”. La donna racconta che dopo 15 ore di travaglio si è vista costretta a partorire con il solo ausilio del marit .
Dopo questa esperienza Valentina scopre che sarebbe possibile ricorrere alla diagnosi pre-impianto, che permette d’identificare la presenza di malattie genetiche o di alterazioni cromosomiche in embrioni ottenuti in vitro, in fasi molto precoci di sviluppo e prima dell’impianto in utero, tuttavia la legge 40 vieta l’accesso all’analisi pre-impianto ai soggetti fertili come lei e il marito.
E’ a questo punto che si rivolge all’avvocato Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Luca Coscioni, che spiega “Sul divieto che impedisce l’accesso all’analisi pre-impianto alle coppie fertili, seppur portatrici di patologia genetiche trasmissibili, anche la Corte Europea dei Diritti Umani ha condannato l’Italia per violazione della Carta fondamentale. Le persone che in questi 10 anni abbiamo sostenuto e assistito hanno cercato difesa dalla legge 40 nei tribunali. In parte hanno ottenuto un risultato con la sentenza d’incostituzionalità che nel 2009 ha cancellato il divieto di produzione di più di tre embrioni e l’obbligo di impianto di tutti gli embrioni prodotti, in un solo trasferimento in utero”.
La versione della struttura ospedaliera è stata diversa da quella raccontata da Valentina, secondo i medici la donna avrebbe ricevuto la giusta assistenza e avrebbe espulso il feto nella stanza di degenza dopo le ore previste di travaglio.
Sicuramente la storia raccontata dall’Associazione Luca Coscioni non è l’unico episodio di questo genere e, nostro malgrado, nemmeno l’ultimo almeno sino a quando non ci saranno le modifiche necessarie che consentano il giusto adeguamento della prassi al quadro legale e sociale. Dati alla mano, l’intervento europeo è una condanna che pesa come un macigno sulla testa di un Paese in cui l’obiezione supera il 70%.