L’epitaffio di Virgilio è un’iscrizione concisa, eppure densa di significato, che si trova sulla tomba del grande poeta latino Publio Virgilio Marone. Situata nei pressi di Napoli, precisamente a Piedigrotta, in un’area storicamente ricca di fascino e leggende, la tomba è diventata meta di pellegrinaggi letterari fin dall’antichità. L’iscrizione, attribuita dallo stesso poeta, riassume brevemente la sua vita e le sue opere, e rappresenta uno dei pochi esempi di epitaffio autoriale, un dettaglio che conferisce a queste parole un’aura particolare di consapevolezza e di auto-riflessione.
L’epitaffio, scritto in eleganti versi latini, recita:
“Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope. Cecini pascua, rura, duces.”
Tradotto, significa: “Mantova mi generò, i Calabri mi tolsero, ora mi tiene Partenope. Cantai i pascoli, i campi, i condottieri.” Questi pochi versi riassumono la vita di Virgilio e la sua opera, condensando in un rapido colpo d’occhio l’essenza del suo percorso artistico e umano.
Virgilio, l’epitaffio e la celebrazione di una vita dedicata alla poesia
Virgilio nacque a Mantova nel 70 a.C., un periodo di grandi turbolenze politiche e sociali nella Roma repubblicana. Cresciuto in un ambiente rurale, lontano dalle luci della capitale, il giovane Virgilio si dedicò allo studio della filosofia, della retorica e, soprattutto, della poesia. Trasferitosi a Roma, divenne uno degli autori più apprezzati del suo tempo, tanto da ricevere il patrocinio dell’imperatore Augusto.
Il riferimento a “Calabri rapuere” si riferisce al luogo della sua morte, avvenuta a Brindisi nel 19 a.C., durante un viaggio di ritorno da un soggiorno in Grecia. Dopo la sua morte, il corpo di Virgilio fu trasportato a Napoli, dove fu sepolto. Da qui la frase “tenet nunc Parthenope”, poiché Partenope è l’antico nome greco di Napoli.
La seconda parte dell’epitaffio riassume, con mirabile sintesi, le opere principali di Virgilio. “Cecini pascua” fa riferimento alle Bucoliche, una raccolta di poesie pastorali incentrate sulla vita dei pastori e sulla natura. “Rura” indica le Georgiche, un poema didascalico dedicato all’agricoltura, in cui Virgilio esalta la vita dei contadini e la fatica necessaria per dominare la terra. Infine, “duces” si riferisce all’Eneide, la sua opera più famosa e il capolavoro della letteratura latina. L’Eneide racconta le avventure di Enea, l’eroe troiano destinato a fondare le origini mitiche di Roma, ed è un’opera che riflette sui temi del destino, della pietas e della gloria imperiale.
Un messaggio per l’eternità
L’epitaffio di Virgilio, pur nella sua brevità, racchiude un profondo significato. In soli due distici eleganti, il poeta riassume non solo i luoghi geografici che hanno segnato la sua vita, ma anche il cuore della sua produzione letteraria. In un certo senso, Virgilio sembra voler ricordare ai posteri non tanto la sua persona, ma ciò che ha lasciato al mondo: la sua poesia. Questi versi sono un monito di come l’arte possa trascendere la vita stessa, un pensiero che, per un poeta della grandezza di Virgilio, ha certamente avuto un valore profondo.
L’epitaffio diventa così non solo una commemorazione della vita di Virgilio, ma anche un simbolo del potere della parola scritta di sopravvivere al suo autore. Attraverso la poesia, Virgilio ha garantito la sua immortalità, e il suo epitaffio è la prova ultima di come la letteratura possa diventare eterna.
Anche se Virgilio chiese che l’Eneide fosse bruciata alla sua morte, le sue parole vivono ancora oggi, lette, studiate e amate da milioni di persone in tutto il mondo. E quelle poche righe scolpite sulla sua tomba ci ricordano non solo la sua grandezza, ma anche il suo profondo legame con la parola e con la memoria storica dell’umanità.
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