Introduzione (prima parte)
I Napoletani parlano di solito due lingue: l’italiana appresa a scuola e la partenopea. Questa dai più è imparata in casa o per le strade. Ho scritto “parlano” perché succede, per la lingua come per altre azioni quotidiane, che noi siamo quasi sempre in parte italiani e in parte…nopei.
In realtà, perfino quanti scrivono la lingua nazionale ottimamente, finiscono col dirla quasi sempre commettendo errori di pronuncia e per di più modulando la propria voce in modi che ci caratterizzano alle orecchie d’altre zone dell’Italia. Nzomma, avimmo voglia ’e fà, napulitane simmo e nnapulitane rummanimmo!
La richiesta a me rivolta di tenere in questo spazio un corso di scrittura della lingua napoletana deve avere un suo motivo, soprattutto se avanzata in redazione dai lettori tutti in rete e che, suppongo, sono in larga maggioranza di Napoli e provincia. La risposta a mio parere è semplice e l’ho detta e scritta già molte volte in pubblici convegni e sulla rete.
La gran parte dei Napoletani, un po’ per colpa loro e molto di più per colpa d’altri, è analfabeta di due lingue. Vero è che non siamo i soli, se risulta vero quanto nel 2013 attestava l’ISTAT, l’Istituto nazionale di statistica, secondo una cui indagine il 39% degli Italiani non era in grado d’interpretare correttamente un articolo sportivo di venti righi e di fornirne un riassunto scritto senza errori.
Inoltre l’OCSE, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ha diagnosticato che l’Italia ha un tristissimo primato mondiale. Ben il 47% della sua popolazione è afflitta dal cosiddetto analfabetismo funzionale, ovvero non è in grado di «comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere con testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le capacità e le competenze personali».
Ho scritto che ad averne colpa siamo un po’ noi stessi e maggiormente “gli altri”… Ma chi sono costoro? Nei molti anni della mia esistenza me ne sono fatta un’opinione che ritengo ben fondata. In primo luogo i fautori continuano ad essere gli adulti, genitori ed insegnanti, ossessionati dalla pedagogia linguistica del “parlar bene”, ovvero in un italiano molto spesso inespressivo e quasi sempre ricco d’inflessioni dialettali.
In secondo luogo occorre mettere i docenti d’italiano. Vanno a caccia degli errori di scrittura, sono rigorosi per l’orto-grafìa, ma trascurano l’orto-epìa e cioè la pronuncia giusta, anche perché son loro i primi ad ignorarla. Un solo esempio: guai a chi scrive “educazione” con due /z/, ma poi sono proprio loro, in maggioranza, a pronunciare educazzione.