Non so come voi lettori parliate e scrìviate in lingua italiana, ma so per certo che quella napoletana la leggete con fatica e, se vi càpita di scriverla, lo fate commettendo molti errori. Vi consoli il fatto che se voi errate, ovvero non riuscite a giungere alla meta, tuttavia non state fermi, non siete inerti e immobili, ma siete in movimento anche stando comodi sulla vostra sedia con la penna in mano o digitando tasti.
Voglio ricordarvi che pure il semplice pensare in realtà non è mai semplice, ma quasi sempre è attività complessa che si svolge nella mente, ossia in regioni cerebrali in cui miliardi di neuroni sono in moto simultaneo. Ovviamente l’unico errore qui sarebbe quello di muovervi a casaccio, pur sapendo quale sia la meta definita, ma ignorando come fare ad arrivarci.
Se però la meta che volete voi raggiungere è lo scrivere per bene nella lingua che più amate, allora è giusto ch’io vi dica come sta la cosa. In questo caso errare è inteso come sbaglio, inesattezza o imprecisione, ma perché qualcuno giudichi così ciò che avete scritto occorre riferirsi a tradizioni, norme, regole o dettami. E qui mi affretto a precisare che le nostre giovanili insufficienze conseguite in italiano erano tali in quanto irrispettose delle grammatiche fondate sul modello che della lingua proponevano gli esperti.
Se la lingua è appresa dalle vive voci delle tradizioni familiari allora avete un bel bagaglio di parole, di modi dire, frasi proverbiali e testi di canzoni. Sono eredità senza testamenti, in quanto ci è difficile trovarle per iscritto. Hanno il difetto di trasmettersi oralmente e perciò stesso senza quasi nulla dirci dei corretti modi d’uso della lingua scritta.
Inoltre, pur se avessimo la buona sorte di trovarle scritte noi potremmo solo farne bella copia. Non ci troveremmo infatti nulla che c’insegni come scrivere di quanto in napoletano ci è passato per la testa. Peggio ancora se volessimo affidarci a ciò che di partenopeo c’è scritto in rete. Con pietosa pace di rarissime eccezioni c’è ben poco di corretto. Tutt’al più potremmo utilizzare questi “doni” se ci decidessimo ad aprire la finestra della quale vi dirò in seguito qualcosa.
A questo punto potreste essere attratti dall’idea di rivolgervi alla nostra tradizione letteraria, ricca di ben settecento anni e più di pagine di cronache e di storia, di poesie e di narrativa, di drammaturgie e di testi per canzoni. L’idea sarebbe buona, se non fosse che le lingue, tutte, hanno la pessima abitudine, ma sono in molti a ritenere che si tratti di virtù, di trasformarsi in breve volgere di tempo. Spero non vogliate scrivere il toscano come al tempo di Torquato Tasso o Machiavelli, né il napoletano usato da Fiorillo o Della Porta.