Una vignetta sa come strapparci un sorriso anche quando non ne abbiamo voglia. Una vignetta sa anche farci riflettere su ciò che accade intorno a noi; ci fa arrabbiare per le ingiustizie del mondo, sa parlare a grandi e piccini. In pochi secondi, una vignetta riesce a trasmettere messaggi importanti. Vero esperto in questo settore è Lele Corvi, disegnatore d’esperienza ventennale e attualmente vignettista de “Il Manifesto”. Con la sua matita si è più volte speso in campagne a favore degli ultimi, riuscendo anche a ottenere i risultati sperati. Vi proponiamo oggi un viaggio nel suo mondo colorato e ricco di simpatici personaggi.
Lele Corvi, sei da poco approdato a “Il Manifesto”, quotidiano che ha come suo “marchio di fabbrica” la fotonotizia in prima pagina dal sapore ironico, sarcastico. Come convivi con questo approccio?
Sì. Da novembre disegno su “Il Manifesto”. La selezione è arrivata dopo un lungo concorso durato oltre dieci mesi. Il giornale ha avuto modo di valutare i vari lavori e ho avuto l’onore di essere stato scelto. Onore perché, come dici, è una delle poche testate che mette le vignette in prima pagina restituendo un po’ di dignità alla lunga tradizione di vignettisti che abbiamo avuto e che tuttora abbiamo. Siamo un po’ penalizzati dal fatto che gli spazi dedicati alle vignette stanno scomparendo, purtroppo.
Tornando al concorso indetto a “Il Manifesto”: non ho mai “forzato la mano”. Ho semplicemente continuato a inviare vignette con lo stile che ho maturato (mi auguro) in 25 anni di pubblicazioni su varie testate. Iniziando da quelle locali, come “Il Cittadino di Lodi” (col la quale collaboro tuttora) fino ad arrivare alle pagine milanesi del “Corriere della Sera”, a pagine interne della “Gazzetta dello sport”, ad “Avvenire” e da qualche anno con “Eco di Bergamo”. Quindi è un approccio, quello di realizzare la vignetta a commento dei fatti quotidiani, con cui mi misuro ogni giorno da tanto tempo e mi trovo molto bene. Credo che ormai, realizzare vignette siano i momenti quotidiani a cui non riesco a rinunciare. Una necessità che va oltre all’aspetto lavorativo.
I tuoi disegni, accompagnati quasi sempre da brevi testi incisivi, hanno un tratto molto personale. Come nasce lo stile di Lele Corvi?
Banalmente nasce da una necessità: quella di consegnare nei tempi stabiliti con le Redazioni i disegni. Già da quando inviavo tramite fax disegni fatti con pennarello è stata una corsa contro il tempo. Anche perché fare vignette era un secondo lavoro (da dieci anni mi dedico a tempo pieno a disegni, vignette, illustrazioni e strisce) e quindi il tempo era davvero poco. Da quei tempi ho sempre cercato metodi di disegno per accorciare i tempi di consegna. Esplorando così alcuni programmi fino ad approdare da qualche anno a questa parte all’utilizzo intenso di applicazioni (prima tra tutte “Procreate” e “iPad”). Questo mi permette di disegnare ovunque ed entro i tempi concordati. Questa ricerca ha portato come risultato un tratto sintetico che, credo, sia anche la caratteristica tipica delle vignette: come la scultura si deve togliere il superfluo per lasciare solo il necessario per raccontare un fatto.
Hai scritto diversi libri sia per adulti che per bambini. Quale pubblico trovi sia più esigente?
Per bambini ho realizzato una serie di avventure con Tobi protagonista e ho portato questi libri in biblioteche e scuole accompagnandoli con attività di laboratorio. Per adulti ho realizzato, in tandem con lo sceneggiatore Francesco Barilli, la graphic novel “Vita eccessiva di John Belushi”(Becco giallo). E poi ho fatto per Edizioni El un libro per bambini che però è piaciuto molto anche agli adulti: “Le 100 cose belle della vita”. Uscito involontariamente in pieno periodo lockdown (marzo 2020), racconta per immagini le 100 cose semplici della vita che ignoriamo e di cui, in quel periodo, avevamo bisogno.
Quest’ultimo libro mi ha insegnato che sia da adulti che da bambini abbiamo esigenze apparentemente diverse… Quello che cambia è il modo di raccontare e di ascoltare. Ma in momenti difficili (il lockdown duro di quel periodo ce lo ha dimostrato – in più aggiungici che sono di Codogno e quindi ho vissuto da vicino la vera zona rossa) queste esigenze si avvicinano: in entrambe le età vogliamo qualcosa che ci faccia stare meglio. Abbiamo la necessità di un messaggio positivo. L’unica differenza che ho trovato è che i bambini non hanno freni: chiedono, domandano, indagano e sono spietati in senso costruttivo. Purtroppo da adulti perdiamo queste qualità.
Con molti dei tuoi disegni hai sostenuto svariate campagne di impegno civile, da quella contro l’abbandono degli animali a quella in favore della comunità LGBT+ o in difesa del nostro pianeta. Qual è il tema per il quale, secondo te, Lele Corvi, non basta mai inchiostro?
Qualsiasi tema che metta in primo piano la dignità degli ultimi.
Delle varie campagne quella che più mi è rimasta nel cuore è stata quella a favore dei bambini esclusi dalle mense scolastiche a Lodi (ne è diventato un caso nazionale). Riuscendo a coinvolgere tanti amici disegnatori che hanno partecipato con grande generosità favore degli ultimi. Abbiamo realizzato tanti disegni che hanno dato colore ma anche sensibilizzato sull’argomento e sostenuto gli sforzi del comitato che ha speso tantissimo per ridare dignità ai bimbi e alle loro famiglie fino ad arrivare qualche mese fa alla sentenza che ha dato ragione al coordinamento che si è battuto per questo risultato.