Lei leggeva, senza saper leggere, scompariva alla vista di tutti, la trovavano rannicchiata tra la libreria e la finestra con in mano uno dei libri della biblioteca della casa, più spesso un libro senza figure, solo con segni neri incomprensibili allineati sulla pagina, lei lo teneva a stento tra le piccole mani, lo appoggiava sul grembo, mai capovolto, lo apriva nel modo giusto e poi vi scorreva sopra gli occhi cominciando a mormorare, era quel mormorio che guidava sua madre a trovarla, solo la prima volta sorpresa, poi le si avvicinava in silenzio, rispettosa, la guardava soltanto e andava via.
Lei leggeva cose che ancora nessuno aveva scritto, a volte quello che le avevano raccontato, più spesso i suoi sogni. Non c’erano giocattoli nella casa più attraenti di quei libri, le piaceva persino l’odore, la polvere che si accumulava a volte tra le pagine, la consistenza della carta e la magia che contenevano. Li leggeva senza saperli leggere e il segreto di quelle sconosciute parole le entrava nel piccolo corpo, l’ ammalava per sempre. A sei anni la mandarono a scuola e si sorprese che le dessero le chiavi di quella magia, imparò subito tutto prima degli altri ma lei ne aveva bisogno, forse gli altri no.
Così cominciò a sedersi vicino alla finestra che dava sul mare, appoggiava i libri sul davanzale e leggeva. Ora i libri non poteva più sceglierli da sola, sua madre sceglieva per lei, così scopriva che c’erano libri che lei non poteva leggere, scopriva un divieto che la feriva. Ma i libri che sua madre le dava erano belli, favole, storie per bambini e non solo, leggeva con sua madre sopra una Divina Commedia antica, foderata di velluto rosso, erano versi difficili, sua madre li spiegava, lei sentiva una musica speciale cercarle l’anima, leggeva sopra una Bibbia di velluto verde con immagini in bianco e nero e migliaia di storie e anche lì sua madre spiegava, poi la lasciava sola a riempire i vuoti, inventare i finali, sostituire alle parole altre parole che le nascevano dentro facilmente come i fiori di pesco sull’albero del giardino.
Voleva che le regalassero libri ad ogni occasione, libri da leggere e da riscrivere in segreto nella sua mente che accumulava ricordi costruiti con parole. Stava diventando introversa, con gli altri bambini si annoiava, allora sua madre le tolse i libri, la obbligò a uscire per strada e lei giocò per le strade del porticciolo, sulla banchina sotto il sole cocente del pomeriggio e persino di notte sotto le stelle, ma imponendo i suoi giochi, attribuendo ruoli, precipitando gli altri senza che lo sapessero nel suo mondo di parole.
A dieci anni cominció a scrivere poesie, continuava a giocare fuori ma pretese di nuovo i libri e arrivarono, li voleva senza immagini, le fu concesso qualcuno dei libri dei suoi genitori, altri li lesse in segreto, molti la turbarono ma senza spaventarla. Cominciava a capire quello che avrebbe trovato in loro e leggeva molte ore al giorno mentre il suo corpo di bambina si trasformava tra quelle pagine, la scuola, le passeggiate in barca tra i canali delle isole, leggeva mentre si innamorava, dava il primo bacio e leggeva del primo bacio, non sapeva come ma le pagine sembravano raccontarle la sua vita, cambiavano con lei, sentivano con lei il flusso inquietante del tempo, le sensazioni del suo corpo che si risvegliava tra le braccia del suo innamorato, coltivavano insieme la sua ambizione di scrittura, la sua voglia di esplorare il mondo.
Lei leggeva le sue paure, le sue possibili decisioni, i luoghi dove l’avrebbero portata, leggeva gli abbandoni che avrebbe inferto e subito, leggeva le isole e le città, i tanti volti su cui avrebbe soffermato lo sguardo, i pochi che avrebbe amato, leggeva dolori ben raccontati e il suo che ancora non si poteva raccontare, leggeva gli oceani e le maree, leggeva di barche che portano profumi di terre lontane, che portano messaggeri di morte, leggeva di imperi crollati nell’oblio, di dei dimenticati, di eroi mitici, di eroine del quotidiano,
leggeva l’universo sospetto d’infinito e il numero esatto delle galassie, leggeva di astronavi, di leggi capovolte, di rivoluzioni, di sangue versato invano, di sangue consacrato al riscatto di molti, leggeva di amanti separati dal destino o dalla loro insania, leggeva dei figli come spade nel petto, come rose a rallegrare la casa, leggeva che non c’erano figli per lei, solo figli del cuore, leggeva per il suo lavoro, per se stessa ostinatamente leggeva trovando il filo di tutte le storie, il perché di tutte le pene, trovando quelli che aveva già perduto, che avrebbe perduto nel tempo, portatori di sconfitte o di memorie buone.
Lei leggeva come la vita andava srotolando i suoi giorni feroci o mansueti, leggeva come passavano le stagioni, cambiavano le monete, i piaceri, gli incontri, restava uguale il mondo e uguale la disperazione di cambiarlo, lei leggeva certe cose lette da poco e già sapevano di antico ma si erano fatte mito in lei e non poteva staccarsene. Leggeva del possesso che né la ruggine né i ladri potevano toglierle, milioni di parole la abitavano, spese nella sua vita come si spendono le carezze e i baci sul corpo dell’amato.
Lei leggeva, come aveva sempre fatto, per trovare in quei libri se stessa e il mondo, leggeva per perdersi, per scoprire isole sconosciute ai più, per innamorarsi, per piangere, per coltivare i dubbi, cercare le domande e non le risposte, leggeva per viaggiare, per ricordare, leggeva di avventure, di oblii, di persecuzioni, di pericoli, di passioni, leggeva di donne di uomini, di trionfi, di omissioni, tra le lettere sulle righe, nel punto di unione delle pagine, leggeva sul vecchio saggio, sull’ostinato, sul ribelle, leggeva sulle spalle di angeli di demoni, epopee e versi dimenticati, leggende e lettere, leggeva spartiti, canzoni, leggeva pitture che accecavano, leggeva le sue mani, leggeva…leggeva.
Foto generata con Copilot per Cinque Colonne Magazine