Per capire questa poetessa non basta leggere una sua silloge. Bisogna seguirla nel suo percorso, che è tuttora in atto. Invitiamo perciò il lettore a curiosare nella sua bacheca Facebook (Lorena Dolce Glicine Turri è il nome da lei scelto per distinguersi dagli omonimi).
Lorena Turri ha atteso l‘età adulta per pubblicare, ma c’è motivo di credere che abbia sempre scritto poesie. La sua raccolta d’esordio presenta infatti già le scelte stilistiche e contenutistiche ponderate e sapienti di una poesia matura. Si intitola Leggi una donna ed è stata edita da Kairòs (Napoli, 2015) con la prestigiosa prefazione di Antonio Spagnuolo (dalla quale peraltro volentieri abbiamo attinto per meglio focalizzare queste nostre poche riflessioni). Contiene poesie già premiate nel 2014 (Premio “Voci” di Abano Terme) e già strutturate secondo precise scelte metriche, frutto di attenta ricerca e di assiduo esercizio.
Non sfugge un particolare apparentemente poco significativo: la dedica al proprio padre e alla propria figlia, definiti “i grandi amori della mia vita”, con evidente esclusione di un uomo-amante. Eppure quasi tutte le composizioni si possono definire poesie d’amore. Amore, però, per un amante assente, che si vede solo in controluce attraverso i momenti tristi del soggetto poetante. Il tu a cui la poetessa si rivolge infatti è sempre un tu lontano, forse fedifrago, certamente portatore di delusione, rimpianto solo nei momenti più terribili della solitudine:
“Ad ogni mio risveglio / ritorno sola al giorno / e torna il mio pensiero sempre a te […] / Con l’illusione l’anima rabbercio / cucita nel ricordo / degli attimi rubati al quotidiano / […] / ma sempre torno sola. Sconsolata, / nella freddezza d’ogni disamore”.
Il rimpianto tuttavia dura poco, prima di riaffermare l’orgoglio della donna (“E’ un muggito di cuore di donna / come un’eco – lo senti? – / fuori dal tuo mattatoio, / la mia dignità”, versi martellanti e sordi come la furia di un toro colpito dalle banderillas). E’ una donna che ha saputo guardare con lucidità alla propria condizione di casalinga, accettandola senza complessi ma senza neppure farne una bandiera, ma cogliendo in tale condizione una selva di immagini e metafore insospettabili:
“Io donna, con le mani indolenzite / dentro bucati senza mai un rattoppo / […] / io sorrido, sebbene le mie labbra / dalle minestre troppo riscaldate / siano ogni giorno sempre più bruciate”.
Basti d’altronde, per cogliere quest’aspetto, leggere il seguente pensiero, in epigrafe a una delle sezioni del libro: “Ti accorgi che la solitudine è veramente brutta quando, dopo aver stirato le lenzuola, non hai nessuno che ti aiuta a piegarle. È in quel momento che devi farti forza e allungare le tue braccia più che puoi”. Dell’uomo assente, poi, si leggono i connotati, ancora una volta in controluce, in quest’altra epigrafe: “La donna è come un libro che gli uomini, molto spesso, leggono per metà”.
Abbiamo accennato alla metrica attenta, pronta ad adattarsi ai diversi stati d’animo rappresentati nelle varie poesie (“proteiforme”, per usare un termine di Spagnuolo), come traspare anche dai pochi esempi riportati. Ma anche il lessico merita attenzione: lessico semplice ma usato sapientemente tramite tutti gli artifici della retorica poetica, dagli accostamenti alle posizioni delle parole, con una precisione, un’eleganza e un’efficacia che ha potuto far ricordare Leopardi. “E’ una parola che evade dall’astrattezza del sistema linguistico e si fa percezione”, ha scritto la figlia della poetessa in un’acuta analisi di una delle liriche della madre. E questo avviene grazie a quel tipo di mistura linguistica sapiente a cui ci ha abituati un Montale: vocaboli ed espressioni del linguaggio quotidiano o comunque “basso” (“spreme un’arancia”, “rifà il letto”, “bucati”, “rabbercio”, “puttana”) non stridono, anzi armonizzano, talvolta nella rima, talaltra nella posizione, con stilemi che lasciano sospettare profonda assimilazione di poeti importanti (un’eco dantesca ci è parso di vedere in “a tutto quanto chiamo guai” in “Brindo e bevo”, pag. 42; petrarchesca in “Misuro a passi il silenzio” in “Agosto”, pag. 47; leopardiana in “a numerare stelle ad una ad una”, in “Ma qui”, pag.47).
Il discorso iniziato con “Leggi una donna” si approfondisce nell’ultima silloge (inedita, speriamo ancora per poco) intitolata “Figlia fragile”, dove la poetessa si vede nella sua fragilità indifesa di donna, frutto della sua femminilità e della sua maternità: “Sono albero e foglia / figlia fragile della mia maternità /colei che vive / nel peccato non commesso”. Il dialogo con il “tu” in assenza, anzi in impresenza (secondo il felice lessema usato in una di queste liriche) si fa più pressante, più puntiglioso, e, nella forma e nell’atmosfera poetica, più montaliano: “A camminare sulla corda lunga / delle attese, sprecati vanno i giorni, / la notte si riduce a una coperta / corta […]. Dimmi tu se una qualche via d’uscita / si può ancora trovare, se uno squarcio / vale sui calendari delle assenze. / Dimmelo tu, che di me devi avere / solo un vago ricordo e non t’aspetti / l’estate dal telefono che squilla”.
Il costante dialogo con i grandi poeti si fa richiamo esplicito in alcune delle ultime liriche postate su Facebook, dove le citazioni sono pretesti-occasioni per nuove poesie, in un “gioco” che è umile riconoscimento dei grandi modelli e insieme profonda consapevolezza di sé nella sperimentazione delle proprie possibilità. Così, ad esempio, una lirica di qualche settimana fa iniziava col verso di Ungaretti “L’ombra che mi si pone a lato, timida” per continuare autonomamente tradendo il contenuto struggente del grande poeta e facendosi generatrice di una lirica autonoma, dal contenuto misterioso e forse altrettanto struggente: “L’ombra che mi si pone, a lato, timida, / è un nero girasole alla mia luna; / gesticola in silenzio e ascolta muta, / intangibile amica oscura e vera. / E quando si fa sera, delicata, / con la sembianza d’esile gigante, / si sposta a me davanti a sussurrarmi / di non aver paura.”
Talvolta il confronto coi grandi modelli si fa tutto tecnico, giocato intelligentemente sull’autoironia, un’ironia riuscitissima e godibilissima, come in questo “sonetto rinterzato” (composizione inventata dal poeta e frate gaudente Guittone d’Arezzo):
Se ne stava Guittone nel convento
con un preciso intento:
mostrarsi artista colto e raffinato
e fare scuola per il suo talento
con un componimento
a cui nessuno avesse mai pensato.
Il Frà Gaudente giunse al compimento
di sé molto contento
– ché al gaudio s’era pure consacrato
dalla Madonna preso in rapimento –
“Io sono un gran portento!”
pensò alla fine del suo “rinterzato”.
Dalla Canzone aveva il settenario
qual grano di rosario
estratto e seminato in un sonetto.
E gli sembrò perfetto
a basamento del suo seminario.
Ma Dante, allievo e un po’ bastian contrario,
all’insigne primario
cercò di dimostrar che quel sonetto,
perché fosse perfetto,
renderlo “doppio” era necessario.
Il sonetto rinterzato, informa la poetessa, fu imitato e reso più complesso da Dante, che aggiunse altri versi intermedi. E non ce ne vorrà Lorena Turri se non resistiamo alla tentazione di pubblicare qui quello che ella chiama “secondo esercizio (forma dantesca)”, con una modestia che ci arriva come una furba strizzata d’occhio:
Dopo aver rinterzato, stamattina,
di manzo una fettina
con del prosciutto, asparagi e un ovetto
di settenari ho farcito un sonetto
come un cuoco provetto
di moda guittoniana ed aretina
ma con una variante fiorentina
(pappata la chianina)
che prevede, per rendere l’effetto
del doppiaggio di rime nel versetto,
lo schema a incrocio stretto.
E’ proprio una ricetta sopraffina!
Di me sarà felice il Padre Dante
che mi porrà dei Master Chef nel Cielo
per questo ardito zelo
e per la fedeltà di vera amante.
Da casalinga stilnovista aitante,
or che di fame m’è tornato un pelo,
il sonetto surgelo;
leggo l’Artusi e cuocio capesante!
Questo confronto con la tradizione, modestamente presentato sempre in forma di esercizio, sia quando è ironico sia quando è produttivo di nuova lirica, è sicuramente solo un momento della storia personale di questa poetessa, che, come si diceva all’inizio, va seguita con attenzione nel suo percorso ancora in atto e ancora molto promettente, a giudicare dalle ultime liriche postate (quasi quotidianamente) su Facebook.