Legge sull’aborto: un’espressione che da esplicitazione di un diritto si è trasformata quasi in un’anatema. La decisione della Corte suprema americana ha destato molto scalpore un po’ a tutte le latitudini ma com’è la situazione nel resto del mondo?
Legge sull’aborto: la decisione della Corte suprema americana
La scorsa settimana, lo sappiamo, la Corte suprema americana ha annullato la storica sentenza “Roe v Wade” del 1973 che aveva sancito negli USA il diritto di abortire. La sentenza fu il frutto della battaglia di Jane Roe (al secolo Norma McCorvey) messa incinta per la terza volta dal marito violento. A quei tempi l’aborto era regolato da leggi dei singoli Stati: in alcuni era praticato solo in determinati casi come stupro, malformazioni del feto; in altri era illegale in ogni caso mentre in pochi Stati bastava semplicemente che la donna interessata avanzasse la richiesta. Non esisteva, dunque, una legge federale in materia e quello all’aborto non era un diritto sancito dalla costituzione. La sentenza del 1973 si collegò al XIV emendamento della Costituzione, che tutela la privacy dei cittadini. Privacy intesa come libera scelta delle persone di prendere decisioni su questioni intime. In quest’ottica rientrava, secondo i giudici dell’epoca, anche il diritto di abortire.
Parola agli Stati… e al Congresso
Da allora tutti gli Stati dovettero adattarsi a questa sentenza che, in un ordinamento giuridico come quello americano di Common law, diventa vincolante. L’America, dunque, una legge federale sull’aborto non l’ha mai avuta. Legiferare spetta al Congresso e se la parte progressista del Paese vuole dotarsi di questa legge, a questo punto, deve sperare in un buon risultato alle elezioni di medio termine che si svolgeranno a novembre. Intanto, ora che la sentenza è stata annullata, la competenza torna nelle mani dei singoli Stati. Stati che con una prontezza insospettabile sono già pronti ad approvare leggi che negano alle donne di abortire. Gli Stati maggiormente attivi su questo fronte sono quelli del Sud e del Midwest. Con questa abolizione gli Stati Uniti diventano il quarto Paese ad aver abolito il diritto all’aborto dal 1994 al pari di Polonia, Salvador e Nicaragua.
L’aborto in Italia
L’ondata antiabortista sta montando, come ben sappiamo, anche in Europa dove le restrizioni aumentano costantemente o per leggi approvate si rende impossibile nella pratica la loro applicazione. Quest’ultima opzione si verifica proprio a casa nostra. L’Italia ha una legge, la 194, che regola l’aborto dal 1978. Pur ripudiando la pratica dell’aborto come strumento per il controllo delle nascite, la legge individua nei consultori i luoghi deputati per l’accompagnamento delle donne in questo percorso. Gli operatori sono tenuti a dare sostegno alle donne anche informandole sui rischi e rimuovendo le eventuali cause di tale scelta. L’uomo non può esercitare nessun diritto nella decisione della donna. L’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) deve poter essere praticata in ciascuna delle strutture afferenti al Servizio Sanitario Nazionale.
La legge riconosce al personale sanitario l’obiezione di coscienza anche se con alcune deroghe come nel caso di interventi d’urgenza che se non praticati metterebbero la donna in pericolo di vita. Tutto bene si potrebbe pensare se non fosse per qualche “dettaglio”. La metà degli ospedali italiani non è attrezzato per eseguire le IVG. Molte strutture contano al loro interno personale sanitario esclusivamente obiettore di coscienza e non adottano le misure previste dalla legge per sopperire alla mancanza di personale in grado di effettuare le IVG. Quando lo fanno, devono chiamare medici esterni con conseguente aggravio di costi sul SSN. Il caso esemplare è rappresentato dal Molise dove esiste un solo medico non obiettore per il quale sarebbe giunto anche il momento della pensione.
In copertina foto di Gerd Altmann da Pixabay